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Musica
Una vita da cantautore, ritratto di Giampiero Mazzone
Poeta di melodie che ricordano la sua terra d'origine
In una lettera di Michele Agosta il racconto del percorso artistico del musicista siciliano, figlio del regista e drammaturgo vizzinese Alfredo Mazzone, da oltre trent'anni a Roma.
Riceviamo e pubblichiamo la lettera di un nostro lettore, Michele Agosta, che racconta dal punto di vista artistico la figura del musicista e compositore siciliano Giampiero Mazzone, figlio del regista e drammaturgo vizzinese Alfredo Mazzone, inventore del Teatro di reviviscenza, nonché promotore, all'inizio degli anni Settanta, delle Manifestazioni verghiane.
Foto n. 2
Le melodie che fanno sognare – Siracusano di nascita, romano di adozione. Parlare di Giampiero Mazzone, cantautore siciliano, è come aprire una finestra nel passato e scrutare attraverso i suoi brani i drammi della vita. Drammi che tracciano in modo irreversibile il divenire del destino nel percorso dell'esistenza umana. Figlio del regista e drammaturgo Alfredo Mazzone, trascorre la sua fanciullezza a Vizzini. Già vincitore del premio "Città di Recanati" nel 1998 e del premio "Fabrizio De André" nel 2002 e nel 2003, dopo un'attenta ricerca esce dagli stereotipi dei brani musicali e assembla musica d'autore, jazz e musica popolare.
Giampiero Mazzone, con straordinaria capacità creativa, ci conduce con il vibrare delle sue note in un passato dal sapore verghiano e dal gusto naturalista di Emile Zola. Lui assurge i profondi contenuti letterati sia del mondo verghiano sia dell'impersonalismo francese di Zola e si lascia catturare dalla bellezza di quei racconti che fotografano e cristallizzano una realtà fatta di stenti e di miseria, dove l'ingiustizia, ora come allora, continua imperterrita da parte dei poteri forti, sia economici che politici, che con sfacciata indifferenza fanno finta di non vedere o di non voler sentire il lamento disperato che proviene dalla povera gente.
Melodie, ecco come le definisco io. Di quelle che ci permettono di sognare e magari vivere per un istante in un grande castello fiabesco, come quelli che ci racconta un altro scrittore siciliano, Giuseppe Pitrè.

Il canto mazzoniano – Pitrè, con straordinario incanto, ci trasporta in un regno dove il male lotta contro con il bene e quando viene sconfitto dal bene, tutti potranno vivere felici e contenti. Ed è con questo magnifico finale che lo scrittore, con capacità obbiettiva e razionale, ci trascina nella più vera realtà contemporanea, esclamando: «E iddi nel castello vissero felici e cuntenti mentri niautri siemmu ca' senza nenti».
Poesie musicali che prendono per mano e conducono vorticosamente dentro una spirale lasciando sospesi tra la terra e il cielo, nel cielo di mezzo per l'appunto. Brani che parlano di guerre, di abusi, d'inquinamento e di ingiustizie, in una terra che non smette mai di urlare un canto di dolore. E il canto mazzoniano si fa presto pianto, come il pianto di in bambino che viene dondolato da sua madre mentre gli canta una ninna nanna per farlo addormentare e lasciarlo sognare di volare sopra la luna, perché in questa terra per loro non c'è fortuna. Oppure il canto di una cicala che diventa assordante nell'area sconfinata della nostra Sicilia, ingiallita di stoppie che scoppiettano come mortaretti sotto il sole cocente e il contadino nell'aia trebbia il suo grano sotto gli zoccoli del suo mulo, che affondano dentro i covoni di spighe. E lui gira, gira col suo mulo sotto il sole coperto fino al collo, come se stesse nevicando nel mese di gennaio.
Ed egli canta, canta un canto di dolore che somiglia a un urlo triste e disperato che si propaga nella campagna desolata di una Sicilia lacerata dalla mafia e del malaffare.

Presto un nuovo album – Suoni, quelli di Mazzone, che ci riportano indietro di cent'anni, come il titolo di un suo brano dal sentimento puro e cristallino di chi è legato in modo indissolubile alle sue origini e alla sua terra, dove l'amore e l'odio si misurano con la stessa intensità e passione. Una ricerca, quella di Mazzone, per dare luce alle zone buie e grigie della nostra società contemporanea, una società sempre più tetra e lontana dai nobili sentimenti che dovrebbero accomunare l'uomo.
I suoi brani, come Dormi e vola, Gira gira, Cent'anni, sono studiati e ricercati come l'impressionismo di Cezanne e destinati a restare al di là del tempo, perché niente è più fugace della forma esteriore che muta come i fiori di campo che appassiscono nell'apparire dell'autunno. Solo la musica dai profondi contenuti, come quella che compone il nostro cantautore siciliano con il suo straordinario album dal titolo L'avvicinamento o il nuovo lavoro che a breve sarà pubblicato e destinato come tanti altri artisti importanti a restare al di là del tempo. Ospitarlo nella città della civetta e di Giovanni Verga per un suo concerto sarebbe veramente un grande evento.
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10/08/2016 | 4355 letture | 0 commenti
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