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Licodia Eubea
Esondazione del Dirillo, prima sentenza di condanna
L'Eni e due assessorati regionali risarciranno azienda
La decisione del Tribunale regionale delle acque pubbliche fissa un precedente importante per le decine di cause ancora pendenti. Ai ricorrenti, difesi dall'avv. Luca Falcone, andranno 23.500 euro.
«L'invaso ha effettuato scarichi per portate che l'alveo non era in condizioni di contenere» e «il letto del fiume è una distesa di varia vegetazione: erbe, cespugli, alberi». Sono queste le cause che, secondo il Tribunale regionale delle acque pubbliche, hanno provocato l'esondazione, tra il 9 e l'11 marzo del 2012, del Dirillo. Una "bomba" d'acqua che distrusse centinaia di ettari di serre e coltivazioni nelle province di Catania, Ragusa e Caltanissetta, provocando milioni di euro di danni e mettendo in ginocchio decine di aziende. Le conseguenze, specie per i terreni più distanti dal muraglione della diga, furono inoltre amplificate dalla valanga di detriti che la massa d'acqua si portava dietro.
Foto n. 2
Operaio assolto – Mercoledì è arrivata la prima sentenza che stabilisce il risarcimento dei danni per un imprenditore di Licodia Eubea, che perse parte della sua vigna, a due chilometri dalla diga Ragoleto, proprio in seguito a quegli eventi. A pagare, citati dall'avvocato Luca Falcone, saranno la società Raffinerie di Gela (di proprietà del gruppo Eni, che gestisce l'invaso artificiale) insieme a due assessorati regionali, quello delle Infrastrutture e della Mobilità e quello del
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Il ciclone Athos portò al limite la capienza della diga, la cui acqua fu poi scaricata con troppa rapidità.
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Territorio e dell'Ambiente. Assolto, invece, l'operaio chiamato in causa, che non aveva «alcun ruolo dirigenziale o decisionale, né era responsabile della manovra delle chiuse».
Gli episodi risalgono ai giorni in cui il ciclone Athos tenne con il fiato sospeso gran parte dell'Isola. La diga Ragoleto, un enorme bacino artificiale da 20 milioni di litri in territorio di Licodia Eubea, si riempì rapidamente, rendendo necessaria l'apertura degli sfiatatoi di superficie. Una manovra, però, troppo rapida, che riversò nel sottostante fiume più acqua di quanta il Dirillo potesse riceverne. Anche perché il suo fondo, pieno di piante e alberi, aveva ormai una portata ridotta. Della pulizia e della manutenzione se ne sarebbe dovuto occupare l'Assessorato delle Infrastrutture e della Mobilità, che però ha provato a scaricare la colpa su quello del Territorio e dell'Ambiente. Per i giudici, invece, dovranno pagare entrambi.

Un disastro prevedibile – «L'amministrazione regionale – scrivono i togati – non ha curato la diligente manutenzione dell'alveo», anche perché «era certamente possibile e prevedibile che dovesse ricevere tali ingenti masse d'acqua». Per i giudici, il danno poteva essere anche maggiore, perché
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Se l'invaso non avesse contenuto l'onda d'urto, le conseguenze sarebbero state ben più gravi.
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«l'invaso ha addirittura contenuto l'onda di piena».
Quelle conseguenze potevano essere evitate? Forse sì, se si tiene conto delle stime di quanto stava per succedere. «La sottovalutazione dell'evento – recitano le motivazioni appena depositate – si coglie dai fax inviati dal responsabile della sicurezza e del funzionamento delle opere della Raffineria di Gela alle varie autorità competenti».
L'azienda agricola, che aveva lamentato danni per 150mila euro, riceverà un indennizzo di 23.500 euro, oltre alle spese legali. Ma la sentenza (verso cui è possibile presentare appello entro 30 giorni) rappresenta un precedente rilevante per le decine di cause in corso, per le quali pendono richieste di risarcimenti milionari.
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11/12/2015 | 2895 letture | 0 commenti
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