Terza pagina
Guerra di santi
Tutt'a un tratto, mentre San Rocco se ne andava tranquillamente per la sua strada, sotto il baldacchino, coi cani al guinzaglio, un gran numero di ceri accesi tutt'intorno, e la banda, la processione, la calca dei devoti, accadde una parapiglia, un fuggi fuggi, un casa del diavolo: preti che scappavano colle sottane per aria, trombe e clarinetti sulla faccia, donne che strillavano, il sangue a rigagnoli, e le legnate che piovevano come pere fradicie fin sotto il naso di San Rocco benedetto. Accorsero il pretore, il sindaco, i carabinieri; le ossa rotte furono portate all'ospedale, i più riottosi andarono a dormire in prigione, il santo tornò in chiesa di corsa più che a passo di processione, e la festa finì come le commedie di Pulcinella.
Tutto ciò per l'invidia di que' del quartiere di San Pasquale, perchè quell'anno i devoti di San Rocco avevano speso gli occhi della testa per far le cose in grande; era venuta la banda dalla città, si erano sparati più di duemila mortaretti, e c'era persino uno stendardo nuovo, tutto ricamato d'oro, che pesava più d'un quintale, dicevano, e in mezzo alla folla sembrava una «spuma d'oro» addirittura. Tutto ciò urtava maledettamente i nervi ai devoti di San Pasquale, sicchè uno di loro alla fine smarrì la pazienza, e si diede a urlare, pallido dalla bile: «Viva San Pasquale!». Allora s'erano messe le legnate.
Certo andare a dire «viva San Pasquale» sul mostaccio di San Rocco in persona è una provocazione bella e buona; è come venirvi a sputare in casa, o come uno che si diverta a dar dei pizzicotti alla donna che avete sotto il braccio. In tal caso non c'è più nè cristi nè diavoli, e si mette sotto i piedi quel po' di rispetto che si ha anche per gli altri santi, che infine fra di loro son tutt'una cosa. Se si è in chiesa, vanno in aria le panche; nelle processioni piovono pezzi di torcetti come pipistrelli, e a tavola volano le scodelle.
«Santo diavolone!» urlava compare Nino, tutto pesto e malconcio. «Voglio un po' vedere chi gli basta l'anima di gridare ancora "viva San Pasquale!"».
«Io!» rispose furibondo Turi il "conciapelli" il quale doveva essergli cognato, ed era fuori di sè per un pugno acchiappato nella mischia, che lo aveva mezzo accecato. «Viva San Pasquale, sino alla morte!».
«Per l'amor di Dio! per l'amor di Dio!» strillava sua sorella Saridda, cacciandosi tra il fratello ed il fidanzato, chè tutti e tre erano andati a spasso d'amore e d'accordo sino a quel momento.
Compare Nino, il fidanzato, vociava per ischerno:
«Viva i miei stivali! viva san stivale!».
«Te'!» urlò Turi colla spuma alla bocca, e l'occhio gonfio e livido al pari d'un petronciano. «Te', per San Rocco, tu dei stivali! Prendi!».
Così si scambiarono dei pugni che avrebbero accoppato un bue, sino a quando gli amici riuscirono a separarli, a furia di busse e di pedate. Saridda, scaldatasi anche lei, strillava «viva San Pasquale», che per poco non si presero a ceffoni collo sposo, come fossero già stati marito e moglie. - In tali occasioni si accapigliano i genitori coi figliuoli, e le mogli si separano dai mariti, se per disgrazia una del quartiere di San Pasquale ha sposato uno di San Rocco.
«Non voglio sentirne parlare più di quel cristiano!» sbraitava Saridda, coi pugni sui fianchi, alle vicine che le domandavano come era andato all'aria il matrimonio. «Neanche se me lo danno vestito d'oro e d'argento, sentite!».
«Per conto mio Saridda può far la muffa!» diceva dal canto suo compare Nino, mentre gli lavavano all'osteria il viso tutto sporco di sangue. «Una manica di pezzenti e di poltroni, in quel quartiere di conciapelli! Quando m'è saltato in testa d'andare a cercarmi colà l'innamorata dovevo essere ubriaco».
«Giacch'è così! - aveva conchiuso il sindaco - e non si può portare un santo in piazza senza legnate, che è una vera porcheria, non voglio più feste, nè quarant'ore! e se mi mettono fuori un moccolo, che è un moccolo! li caccio tutti in prigione».
Giovanni Verga, da «Vita dei campi» (1880)
Era solo l'inizio di una novella del Verga che descriveva come allora si vivevano i giorni di festa, le rivalità tra i devoti di San Rocco e quelli di San Pasquale.
A Vizzini la guerra di Santi si disputava tra la fazione dei "Vitisi" e quella dei "Giuvannisi", i primi abitanti del quartiere Matrice e appartenenti alla confraternita di "Santu Vitu", ed i secondi, abitanti del quartiere San Giovanni.
Il fulcro della disputa era "'a maschiata", lo sparo di fuochi pirotecnici, siamo intorno agli anni '40, che di tecnico avevano ben poco, infatti allora non si sparavano gli odierni mortaretti colorati ma si facevano esplodere "i maschi" una sorta di piccolo cilindro leggermente schiacciato, con un piccolo foro sulla parte superiore da dove, "u mascaru", inseriva, pressandola, della polvere pirica che fungeva anche da miccia; "u mascu" veniva così posizionato a terra ed acceso, precedendo il simulacro e tutta la processione, l'accensione avveniva grazie ad un cordoncino di stoffa arrotolato ed impregnato di polvere pirica, a sua volta attaccato ad un bastone (di solito una canna da fiume, per la sua leggerezza e manovrabilità) della lunghezza tale da dare la possibilità "o mascaru" di mantenersi ad una distanza di sicurezza, visto che appena accesso "u mascu" esplodeva producendo un forte boato e saltando per il rinculo a circa due metri di altezza.
Il rumore che provocava l'esplosione era assordante tanto da ridurre notevolmente l'udito del "mascaru", ma era proprio quello che si voleva ottenere, un forte boato per onorare la magnificenza del Santo in processione e dimostrare ai confratelli "nemici" di cosa erano stati capaci di organizzare.
Con il passare del tempo, siamo intorno agli anni '50, "u mascu" fu sostituito dal mortaretto che veniva lanciato in aria tramite un semplice tubo di ferro cavo, saldato su di una base rettangolare di larghezza tale da tenerlo in posizione verticale, le bombe, chiamate in gergo "torpedine", erano ancora fabbricate artigianalmente in casa, il procedimento di fabbricazione era molto rudimentale ma il risultato era sicuramente di grande effetto; bastava arrotolare della polvere pirica a dei fogli di giornale incollati con della semplice colla e fatti a sua volta asciugare al sole nel periodo estivo e «dintr'o crivu supra a conca co' luci» in inverno. La torpedine veniva inserita nel mortaretto, a questo punto "u mascaru" inseriva un quadratino acceso di polvere pirica solidificata che fungeva da innesco, si accendeva così la parte esterna di polvere pirica che dava la spinta per la fuoriuscita della torpedine che una volta in alto esplodeva fragorosamente.
A questo semplice procedimento di fabbricazione via via che gli anni passavano, venivano aggiunte altre tecniche, altre innovazioni, fino ad arrivare alle torpedini colorate.
Erano gli inizi degli anni '70 e per "don Pippinu 'u mascaru" era giunta l'ora della pensione, vendette le attrezzature ad un collega più giovane di Militello in Val di Catania e si ritirò a godersi la tanto attesa pensione; non tralasciando un altro suo, non meno importante, impegno quotidiano, la manutenzione degli orologi da torre della Chiesa Madre, del Palazzo Comunale e della Chiesa di Santa Maria di Gesù; ma questa è un'altra storia.
«Don Pippinu, vitisi natu e pasciutu» fu l'ultimo "mascaru vizzinisi", rimase per anni un punto di riferimento per tutti quei "fuchisti" che vennero dopo, chiamati dalle varie commissioni organizzative, per dare consigli e suggerimenti sui luoghi da scegliere per le esecuzioni dei fuochi pirotecnici, per lui era come essere sempre in servizio.
Il riferimento alla situazione attuale è palese, per la prima volta, nella storia di Vizzini, le commissioni per i festeggiamenti delle due feste che chiudono l'estate, San Giovanni Battista e San Gregorio Magno, patrono della città di Vizzini, hanno dato forfait all'organizzazione delle stesse, lamentandosi per la scarsa contribuzione da parte dell'Amministrazione e della cittadinanza intera.
A mio avviso credo si tratti solo di un boicottaggio per ben altri motivi, da parte dei vecchi organizzatori, nei confronti dell'Amministrazione e di riflesso dell'intera comunità; vista la disponibilità da parte dell'Amministrazione a elargire ben 20.000 euro a quanti volessero organizzare le due feste; per quanto riguarda la scarsa contribuzione da parte dell'intera cittadinanza, credo che la gente si sia un po' stufata di veder bruciare migliaia di euro in fuochi d'artificio, per il semplice piacere di qualcuno che ancora oggi mette come fulcro della manifestazione quella già sopracitata disputa.
Tali somme potrebbero essere investite in manifestazioni folkloristiche, praticamente dimenticate dall'Amministrazione in sede di organizzazione degli eventi estivi, per creare così del movimento fra i giovani vizzinesi, visti gli eventi appena trascorsi, solo "Arte e Cultura", vedi concerti di musica lirica, concerti di ottoni, di piano, tour barocchi e verghiani, mostre e fanfare, serate apprezzate senza alcun dubbio da parte mia, ma fruibili solo da una ristretta nicchia di utenti, dimenticandosi completamente di quel bacino di elettori formato anche da diciottenni.
A questo punto della situazione l'Amministrazione si è vista costretta a scendere in campo per sopperire alla mancata organizzazione delle due feste da parte delle commissioni in questione; a loro l'onere di organizzare con equilibrio e equità sia la festa di San Giovanni, festa che un tempo, prima che il Vescovo spostasse a settembre quella del Patrono, era l'ultima festa estiva, e quella di San Gregorio Magno, comunque pur sempre il Patrono della città di Vizzini, senza campanilismo alcuno verso l'una o l'altra festa; perchè il campanilismo e l'attaccamento al proprio quartiere ed al proprio devoto Santo vive ancora fra gli anziani e meno anziani. A presto.
15/08/2006 | 4922 letture | 0 commenti
di La Civetta
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