Terza pagina
C'era una volta...
Correvano i favolosi anni '60, la guerra era già alle spalle, anche qui
c'era tanta voglia di ricominciare, c'era crisi e l'esodo per le Americhe era
una triste realtà, ma le attività economiche, l'artigianato e il
commercio e l'agricoltura, non erano ancora morti.
Molti erano i pastifici (tra cui quello di mio nonno), i mulini, le falegnamerie, vere e proprie ebanisterie, le sartorie e le concerie, le fabbriche di pavimenti e le cave, piccole industrie, come quella del Sig. Salvatore Barresi che dava lavoro a molte famiglie e che montava arredi interni per cinema con commende fino in Campania. Azienda chiusa, pare, in attivo dopo alcuni anni per mancanza di un erede che continuasse l'attività.
Questo tanto per citarne alcuni, le vie del paese erano un brulicare di attività di ogni genere, ogni giorno arrivava il pesce fresco al mercato, dove ogni mercante al dettaglio aveva il suo spazio-bottega, e ogni mattina all'alba la via del Rosario, oggi via G. Verga, era un andirivieni di carri e carretti che portavano la roba fresca al mercato, grandissimo e rinomato.
Il mercato coperto è stato costruito a metà degli anni '20 al posto della Chiesa del Rosario e del Convento dei Domenicani. Troneggiava al centro dello stesso una grande fontana. Una copia esatta del mercato, struttura avveniristica per l'epoca, coperto da una struttura di ferro e vetro, e della sua fontana, pare sia stata vista, identica, in quel di Bolzano! Inutile citare la sua mesta fine, abbattuto negli anni '70, al suo posto un piccolo e già fatiscente asilo comunale.
Ma torniamo alla brulicante vita del paesello, i divertimenti non mancavano e neppure il lavoro se è vero che, come mi raccontò una signora acese, i suoi genitori si trasferirono, subito dopo la guerra, a Vizzini, perchè qui ancora si riusciva trovare lavoro, e che quasi ogni sera c'era qualcosa da fare, un invito, una cena, una festa organizzata con tanto di musica dal vivo e balli animati da piccoli complessi che il sabato e la domenica si divertivano, mangiavano gratis e si guadagnavano un extra.
La domenica pomeriggio, la via Vittorio Emanuele fino alla Villetta di S. Sebastiano, alla piazzetta del Palco della Musica e al piano S. Maria di Gesù, dove era la nuova Villa Comunale si riempiva di ragazze con vivaci abiti a fiori, seguite a vista dai genitori, e da ragazzi circospetti per i quali una "buttata d'occhio" già equivaleva ad un fidanzamento!
Il cinema aveva fatto la sua comparsa già durante il Ventennio, in piazza Umberto, infatti oltre ad essere stati installati i megafoni che diffondevano per il paese la voce di Mussolini e gli inni del regime, arrivavano i filmati dell'Istituto Luce, che celebravano i fasti e le glorie del Duce e che venivano trasmessi prima dei film di Chaplin e di Totò.
Così dopo la guerra nascevano cinema e arene. Frequentatissimi, come la Grande Arena Vittoria, posta nel giardino interno di Palazzo Gaudioso o l'Arena Ideale di Giovanni Pistone, nella parte finale della villa comunale, nascevano poi le moderne sale del Cinema Italia, in via Vittorio Emanuele e del Cinema Moderno, che da qualche anno ha fatto la fine triste di un supermercato!
E così i favolosi anni '60, dicevamo, per l'Italia gli anni del boom economico, si aveva voglia di vivere, di dimenticare gli orrori del recente passato, tutto ciò che era antico era vecchiume, non serviva a niente così bisognava rinnovare, laddove si poteva, si buttavano i mobili e si sostituivano con quelli più moderni, magari in formica dai colori sgargianti.
Così a Vizzini, sede di politici illuminati e moderni (certo poco lungimiranti), si pensò bene di abbattere il "vecchio" teatro, in barba alle antiche glorie, agli spettacoli che nel tempo avevano attraversato l'Italia ed erano approdati qui, proprio in virtù di quel piccolo gioiello, che perfino la città di Vittoria ci aveva invidiato, tanto da farne una copia esatta, poco più grande e più recente, che però è riuscita a salvarsi dalla barbarie del tempo!
Ma la storia della distruzione del teatro, che negli anni è diventata esempio
sulla bocca di chi dice che qui non c'è più niente da fare e da salvare,
ma che scommetto, ai tempi, se ne sarà stato con le mani in tasca bellamente
a guardare, non è stata semplicemente questa: la sua nascita e la sua scomparsa!
Proverò a ricostruirla con le notizie che ho raccolto negli anni. Il teatro fu costruito e pensato con il resto dell'edificio comunale, a «lustro e decoro della città». Tutte le città più importanti, infatti, ne possedevano uno: Noto, Catania, Palermo. L'elitè culturale dell'epoca che assai fortemente l'aveva voluto, era formata da un folto gruppo di notabili, avvocati, notai, medici, spesso affrancati dagli studi, figli di maestranze di mestiere, mastri, veri e propri architetti capaci di costruire solide e spesso splendide chiese. E naturalmente nobili, e proprietari con titoli più o meno antichi. Quasi tutta la gioventù si era formata negli studi presso i Gesuiti che fino ai primi dell'800 tenevano scuola di grammatica, retorica e filosofia, i cui volumi e incunaboli, in parte ancora resistono nello stesso stabile, ex scuola comunale ed ex ospedale civico, che ancora ingloba la biblioteca gesuitica.
Quindi ecco come l'edificio che inglobava il teatro, era stato costruito, su dei
vecchi progetti, c'è chi dice addirittura di Natale Bonajuto, con un occhio
ai due "Massimi" di Catania e Palermo, uno alle proprie finanze, che
però non erano state risparmiate, ed un occhio al barocco di Noto.
Città che ancora possiede il suo piccolo teatro coevo al nostro, ma meno
ricco.
Così venne chiamato uno dei più rinomati architetti di Noto, don Corrado Mazza, e molti illustri decoratori. Il teatro, costruito su tre piani, venne decorato e arricchito da tali e tanti decori dorati da assomigliare ad un vero e proprio gioiello, a sentire i testimoni dell'epoca, ogni singola loggia aveva il suo lume, prima a gas e poi elettrico, la porta centrale immetteva direttamente sulla platea, dotata di poltrone di velluto rosso, ed una serie di piccoli corridoi a tenaglia e scale immettevano nei vari palchetti. Ogni palco e ra dotato di un atrio con una specchiera e una console e dietro una cortina di broccato rosso, il vero e proprio palchetto con poltroncine in velluto.
Ogni famiglia importante della città si era accaparrato l'onore di un palco personale, qualcuno esibisce ancora la pianta del teatro con il nome del casato scritto in corrispondenza del proprio palco. Il teatro era anche dotato di magnifiche scenografie. Fino agli anni '40 esisteva anche la Filodrammatica del cosiddetto Club dei Nobili.
Ma veniamo alla triste storia della sua fine, correva l'anno 1963, gia da qualche
anno, in teatro non si facevano più spettacoli, erano gli anni del cinema,
ma soprattutto della televisione che tutto sembrava dovesse travolgere, anche se
negli ultimi anni il teatro veniva utilizzato come salone delle feste. Le sue
condizioni certo non erano ottimali negli ultimi anni, ma tutto avrebbe potuto
risolversi con qualche intervento di manutenzione, tanto che qualche politico,
questa volta si, lungimirante e benemerito aveva fatto in modo che figurasse in
un elenco regionale di beni monumentali da tutelare e preservare.
Contrariamente a tutto ciò, l'Onorevole sindaco Matteo Agosta si era intestardito che il Comune avesse bisogno di uffici «moderni ed efficienti» come citato in una sua lettera dattiloscritta e firmata, inviata all'allora Soprintendenza ai Beni Monumentali di Palermo. Ma nonostante i reiterati divieti da parte del citato organo regionale che sollecitava il restauro di tale bene, in barba a tutte le normative, fu aperta la pratica di quello che venne chiamato "restauro" dell'edificio, cito testualmente carteggi originali passati per le mie mani.
Come nella migliore tradizione dell'abusivismo edilizio, venne abbattuto parte del loggiato interno e fotografato a simulare un crollo strutturale.
Il resto è storia conosciuta, uno splendido monumento trasformato per far posto a meste stanzucce di oscuri funzionariati, non me ne vogliano coloro che negli anni hanno occupato tali ambienti, oltre ad un "fastoso" Gabinetto e all'ambiente destinato alle riunioni di giunta, teatrino, in fondo, anche questo di curiose vicende umane… Era l'anno in cui fuori Vaccari girava Mastro Don Gesualdo!
Molti erano i pastifici (tra cui quello di mio nonno), i mulini, le falegnamerie, vere e proprie ebanisterie, le sartorie e le concerie, le fabbriche di pavimenti e le cave, piccole industrie, come quella del Sig. Salvatore Barresi che dava lavoro a molte famiglie e che montava arredi interni per cinema con commende fino in Campania. Azienda chiusa, pare, in attivo dopo alcuni anni per mancanza di un erede che continuasse l'attività.
Questo tanto per citarne alcuni, le vie del paese erano un brulicare di attività di ogni genere, ogni giorno arrivava il pesce fresco al mercato, dove ogni mercante al dettaglio aveva il suo spazio-bottega, e ogni mattina all'alba la via del Rosario, oggi via G. Verga, era un andirivieni di carri e carretti che portavano la roba fresca al mercato, grandissimo e rinomato.
Il mercato coperto è stato costruito a metà degli anni '20 al posto della Chiesa del Rosario e del Convento dei Domenicani. Troneggiava al centro dello stesso una grande fontana. Una copia esatta del mercato, struttura avveniristica per l'epoca, coperto da una struttura di ferro e vetro, e della sua fontana, pare sia stata vista, identica, in quel di Bolzano! Inutile citare la sua mesta fine, abbattuto negli anni '70, al suo posto un piccolo e già fatiscente asilo comunale.
Ma torniamo alla brulicante vita del paesello, i divertimenti non mancavano e neppure il lavoro se è vero che, come mi raccontò una signora acese, i suoi genitori si trasferirono, subito dopo la guerra, a Vizzini, perchè qui ancora si riusciva trovare lavoro, e che quasi ogni sera c'era qualcosa da fare, un invito, una cena, una festa organizzata con tanto di musica dal vivo e balli animati da piccoli complessi che il sabato e la domenica si divertivano, mangiavano gratis e si guadagnavano un extra.
La domenica pomeriggio, la via Vittorio Emanuele fino alla Villetta di S. Sebastiano, alla piazzetta del Palco della Musica e al piano S. Maria di Gesù, dove era la nuova Villa Comunale si riempiva di ragazze con vivaci abiti a fiori, seguite a vista dai genitori, e da ragazzi circospetti per i quali una "buttata d'occhio" già equivaleva ad un fidanzamento!
Il cinema aveva fatto la sua comparsa già durante il Ventennio, in piazza Umberto, infatti oltre ad essere stati installati i megafoni che diffondevano per il paese la voce di Mussolini e gli inni del regime, arrivavano i filmati dell'Istituto Luce, che celebravano i fasti e le glorie del Duce e che venivano trasmessi prima dei film di Chaplin e di Totò.
Così dopo la guerra nascevano cinema e arene. Frequentatissimi, come la Grande Arena Vittoria, posta nel giardino interno di Palazzo Gaudioso o l'Arena Ideale di Giovanni Pistone, nella parte finale della villa comunale, nascevano poi le moderne sale del Cinema Italia, in via Vittorio Emanuele e del Cinema Moderno, che da qualche anno ha fatto la fine triste di un supermercato!
E così i favolosi anni '60, dicevamo, per l'Italia gli anni del boom economico, si aveva voglia di vivere, di dimenticare gli orrori del recente passato, tutto ciò che era antico era vecchiume, non serviva a niente così bisognava rinnovare, laddove si poteva, si buttavano i mobili e si sostituivano con quelli più moderni, magari in formica dai colori sgargianti.
Così a Vizzini, sede di politici illuminati e moderni (certo poco lungimiranti), si pensò bene di abbattere il "vecchio" teatro, in barba alle antiche glorie, agli spettacoli che nel tempo avevano attraversato l'Italia ed erano approdati qui, proprio in virtù di quel piccolo gioiello, che perfino la città di Vittoria ci aveva invidiato, tanto da farne una copia esatta, poco più grande e più recente, che però è riuscita a salvarsi dalla barbarie del tempo!
Proverò a ricostruirla con le notizie che ho raccolto negli anni. Il teatro fu costruito e pensato con il resto dell'edificio comunale, a «lustro e decoro della città». Tutte le città più importanti, infatti, ne possedevano uno: Noto, Catania, Palermo. L'elitè culturale dell'epoca che assai fortemente l'aveva voluto, era formata da un folto gruppo di notabili, avvocati, notai, medici, spesso affrancati dagli studi, figli di maestranze di mestiere, mastri, veri e propri architetti capaci di costruire solide e spesso splendide chiese. E naturalmente nobili, e proprietari con titoli più o meno antichi. Quasi tutta la gioventù si era formata negli studi presso i Gesuiti che fino ai primi dell'800 tenevano scuola di grammatica, retorica e filosofia, i cui volumi e incunaboli, in parte ancora resistono nello stesso stabile, ex scuola comunale ed ex ospedale civico, che ancora ingloba la biblioteca gesuitica.
Così venne chiamato uno dei più rinomati architetti di Noto, don Corrado Mazza, e molti illustri decoratori. Il teatro, costruito su tre piani, venne decorato e arricchito da tali e tanti decori dorati da assomigliare ad un vero e proprio gioiello, a sentire i testimoni dell'epoca, ogni singola loggia aveva il suo lume, prima a gas e poi elettrico, la porta centrale immetteva direttamente sulla platea, dotata di poltrone di velluto rosso, ed una serie di piccoli corridoi a tenaglia e scale immettevano nei vari palchetti. Ogni palco e ra dotato di un atrio con una specchiera e una console e dietro una cortina di broccato rosso, il vero e proprio palchetto con poltroncine in velluto.
Ogni famiglia importante della città si era accaparrato l'onore di un palco personale, qualcuno esibisce ancora la pianta del teatro con il nome del casato scritto in corrispondenza del proprio palco. Il teatro era anche dotato di magnifiche scenografie. Fino agli anni '40 esisteva anche la Filodrammatica del cosiddetto Club dei Nobili.
Contrariamente a tutto ciò, l'Onorevole sindaco Matteo Agosta si era intestardito che il Comune avesse bisogno di uffici «moderni ed efficienti» come citato in una sua lettera dattiloscritta e firmata, inviata all'allora Soprintendenza ai Beni Monumentali di Palermo. Ma nonostante i reiterati divieti da parte del citato organo regionale che sollecitava il restauro di tale bene, in barba a tutte le normative, fu aperta la pratica di quello che venne chiamato "restauro" dell'edificio, cito testualmente carteggi originali passati per le mie mani.
Come nella migliore tradizione dell'abusivismo edilizio, venne abbattuto parte del loggiato interno e fotografato a simulare un crollo strutturale.
Il resto è storia conosciuta, uno splendido monumento trasformato per far posto a meste stanzucce di oscuri funzionariati, non me ne vogliano coloro che negli anni hanno occupato tali ambienti, oltre ad un "fastoso" Gabinetto e all'ambiente destinato alle riunioni di giunta, teatrino, in fondo, anche questo di curiose vicende umane… Era l'anno in cui fuori Vaccari girava Mastro Don Gesualdo!
20/09/2005 | 4904 letture | 0 commenti
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