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Recensioni: «Un sogno svanito», di Salvatore Ferraro
È un breve romanzo ambientato in un paesino della Sicilia orientale e narra le vicende di un ragazzo comune, forse solo un po' più sensibile degli altri, nel difficile cammino che porta dall'adolescenza alla gioventù.
Gli affetti familiari, la timidezza dei primi approcci amorosi, la voglia di sentirsi parte di un gruppo. E poi l'ossessione di lei, la sua «Nica»: una ragazza incontrata a scuola durante la ricreazione che trafigge il cuore del nostro giovane protagonista ma che, corteggiata anche da un ragazzo molto più spigliato e intraprendente, decide di scegliere quest'ultimo.
Passano i mesi e poi anche gli anni, e il tempo inesorabile fa naufragare quel sogno del protagonista di poter un giorno conquistare la sua Nica.

Tutte premesse ottime per realizzare una storia piena di sentimento ma che in realtà non vengono adeguatamente sviluppate: innanzitutto non viene data neanche una pallida descrizione di quella Nica che sarà l'ossessione del protagonista fino alla fine del romanzo, niente aspetto fisico, niente carattere e soprattutto alla fine l'autore scrive: «L'ho portata sempre nel cuore prima e dopo la nostra storia», in realtà niente nel romanzo ci fa pensare che ci sia stata una storia di qualsiasi natura, forse solo una fragile amicizia o una banale conoscenza.
Carina l'idea di inserire nel racconto qualche frase in dialetto o anche strettamente gergale e dare dei nomignoli agli amici con i quali il protagonista si ritrova nei luoghi soliti e realizza alcuni viaggi. Tuttavia i fatti sembrano esser narrati senza una vera e propria coesione consequenziale, in una sorta di elenco, quasi che l'autore stesse scrivendo di getto man mano che i ricordi riaffiorano, ora senza sviluppare concretamente i fatti, ora invece perdendosi in minuti dettagli. Infatti l'autore ci descrive minuziosamente la disavventura del volo in aereo e dei biglietti «non del tutto esatti», ma quando parla degli incontri con la combriccola di amici fa della reticenza: «Quanti intrighi e misteri. Meglio non scendere nei particolari».

In definitiva gli input certo non mancano ma chi decide di scrivere un romanzo deve farlo fino in fondo senza temere di suscitare «parecchi fastidi e imbarazzi in tanta gente» e, anche se l'autore dice di non essere nè un poeta nè uno scrittore, penso che lo scrivere sia espressione di un desiderio di comunicazione che debba essere appagato fino in fondo affinchè, come ci dice l'autore stesso, tanta gente, leggendo lo scritto, possa riconoscersi in lui.
Inoltre la dedica va alla sua «Nica» che tra l'altro sembra essere anche l'unico destinatario del romanzo, visto che molte cose non vengono del tutto spiegate, ma incasellate in una sorta di dialogo implicito con il destinatario appunto. Infine il romanzo, nella descrizione delle vicende e dei personaggi, sembra rimanere ancorato ad una realtà pressochè paesana.
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13/01/2008 | 5015 letture | 0 commenti
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