I racconti di Doctor
La festa di San Giovanni
La festa di San Giovanni, 29 agosto, attesa per tutto l'anno, era la festa per
antonomasia. Durava tre giorni: per tre giorni il campanone della chiesa di san
Giovanni suonava quasi ininterrottamente per annunciare ai cittadini il susseguirsi
delle varie funzioni religiose e per ricordare a tutti che eravamo in festa, la
banda musicale cittadina attraversava il paese per la raccolta dei carusieddi
o dei doni.
A proposito di banda cittadina mi viene in mente un particolare: quasi sempre uno degli scimuniti del paese reggeva la grancassa ed uno dei più anziani musicanti cafuddava colpi di mazzola per dare, assieme al suonatore dei piatti, il tempo a tutto il complesso bandistico. In genere era un ex suonatore di strumenti a fiato che, per sopraggiunto enfisema polmonare, non aveva più la capacità respiratoria per soffiare nella tromba, nel sassofono, nel bombardino o, peggio ancora, nel basso tuba, ma aveva ancora uno spiccato senso della musica per cui poteva essere benissimo utilizzato per dare il tempo e il ritmo. Molti suonatori avevano già un loro mestiere, soprattutto erano barbieri, falegnami o scarpari.
In piazza erano presenti i turrunari che forniti di bancarelle con balate di marmo preparavano in continuazione torrone di mandorla, mandorle agghiazzate, bomboloni e zucchero filato, in più esponevano liquirizie e delizie varie. Il profumo penetrante si diffondeva in maniera irresistibile per l'aere! La notte ricoprivano tutte le mercanzie con una tela cerata e dormivano sotto la bancarella.
La loro presenza in piazza anticipava l'inizio di una festa, finita la quale smantellavano e si recavano in un altro paese per un'altra festa locale. Confesso che da ragazzino avrei voluto tanto essere il figlio di un turrunaru e così girovagare per i paesi sempre in una atmosfera di festa!
La festa cominciava il 27 con "l'entrata a banna" che dava l'avvio ai festeggiamenti: la banda si radunava in via dei Galli e al suono di allegre marcette si recava fino alla chiesa di San Giovanni, dove veniva celebrata messa alla presenza delle autorità cittadine e dei numerosi fedeli. Si procedeva quindi alla "calata do quadro", lungo drappo che raffigurava San Giovanni. A fine Messa suono festoso delle campane e sparo di fuochi d'artificio. Tutte le luminarie illuminavano a giorno le strade principali del paese.
Il 28 pomeriggio dopo la celebrazione della S. Messa, preceduta dal suono festoso delle campane e dallo sparo di fuochi d'artificio, come ritualmente recitava il programma, uscita del simulacro, posto su un carro trainato dai fedeli con due lunghe e robuste funi. Il carro era quasi sempre guidato dal giuvannisi doc Michele Blangiardo, detto "Michele 'u pazzu" per l'esuberanza del carattere. Cosa inusuale, il fratello Paolo era vitisi e spesso guidava il carro delle Madonna dell' Idria.
In epoca successiva il carro di San Giovanni fu guidato da Michele Catalano, detto "Michele panzaredda", di professione gommista con bottega sita in via Roma. Montavano la guardia d'onore al simulacro i vigili urbani don Tanuzzu Guzzardi e don Mariuzzu De Petro, nonchè gli appuntati dei Carabinieri Italia e Bevilacqua. Era presente al gran completo la commissione annualmente nominata per i festeggiamenti del Santo: non mancava mai in commissione un cavagnaro di turno Peppi Ielo, Marino, Sudano, talora anche due.
Il giro del paese cominciava dalle "strade pisciate", quartiere "funtana", la banda musicale accompagnava il santo, al passaggio gli abitanti che erano nelle condizioni farlo, facevano una offerta in lire. Allorchè il Santo passava per i quartieri più ricchi, oltre alle offerte brevi manu si ostentava un rito: con uno spillo si agganciava una carta di 1.000 o 5.000 o 10.000 lire ad una cordicella, in genere era una scarparella, una chiave già legata ad una estremità faceva da appiombo, dal balcone si calava lentamente la cordicella, un addetto della commissione staccava lo spillo, ritirava l'offerta ed attaccava al suo posto una immaginetta benedetta di San Giovanni, il generoso devoto risaliva la cordicella, staccava l'immaginetta benedetta e la attaccava dietro la porta d'ingresso accanto a quella del patrono San Gregorio Magno affinchè la protezione per tutta la famiglia fosse raddoppiata contro i terremoti, i ladri e le malattie. Talora, per dovuto rispetto, a debita distanza, era posizionato anche un ferro di cavallo o un corno rosso in modo che la protezione fosse completa anche contro il malocchio.
La gente , spesso marito e moglie a braccetto, passeggiava per le strade principali e la villa comunale sfoggiando l'abito nuovo o, in ogni caso, il più dignitoso. La sera in piazza Marconi musica in palco, sia il 28 che il 29, per un concerto lirico-sinfonico a cura di una banda forestiera proveniente da paesi vicini o addirittura dalla Calabria. Leggendaria per bravura fu la banda proveniente dalla città di Rosarno. In epoca successiva altrettanto indimenticabile fu l'esibizione della banda musicale di Monterrosso Almo diretta dall'eclettico maestro capellone Terranova, erano in grado di eseguire anche brani di musica jazz. Piazza Marconi si riempiva di una serie di tavolini dove servivano i vari bar che avevano preso in affitto una bottega in loco per l'occasione, in epoca successiva comparvero i bar Russo, don Vittorio Acciarito, detto "a fana", ed altri. Si andava dagli ottimi pezzi duri del signor Lentini, sformati dalla scuzzetta e geometricamente divisi, a gelati in coppa guarniti in cima con un wafer o con una ciliegina, a bibite varie. Prendevano le ordinazioni e servivano ai tavoli i vari camerieri, tra questi non mancavano mai Gano di Maganza Risicato e Gregorio Lazzara. I meno abbienti si accontentavano di mangiucchiare càlia, calacausi, semenza e si dissetavano bevendo una gassosa o altra bibita di marca Masera-soda nella bottega del signor Di Grazia. Serviva personalmente il signor Di Grazia aiutato dal mitico Totò, uomo di una forza inaudita perchè era fornito sin dalla nascita di coda, cioè era nato con una vertebra soprannumeraria. La càlia la compravano nelle varie bancarelle o se la facevano preparare per tempo da donna Angelina Cusmano, soprannome "pasta e favi".
Almeno una settimana prima di san Giovanni donna Angelina cominciava la sua attività, regolarmente all'aperto in una ciappetta sotto casa: sin dal primo mattino preparava la vampa, sbollentava i ceci, li scolava e li metteva ad asciugare sistemandoli nei propri sacchetti di stoffa in cui erano stati portati. Finito di sbollentare tutte le partite di ceci, provvedeva a rendere incandescente della sabbia in una quadara dove versava i ceci e sempre mescolando con una pala di legno con un movimento di rotazione continua li abbrustoliva. Al momento giusto - in questo consisteva la bravura - si fermava e separava i ceci abbrustoliti dalla sabbia incandescente mediante uno staccio. E via per un altro giro! In tutta questa operazione non doveva essere assolutamente utilizzata alcuna stoviglia di metallo altrimenti il contatto con il freddo metallo faceva intronare i ceci. Donna Angelina cominciava di mattino presto e finiva a tarda sera. Quanta gente si accontentava di mangiare la semplice calia!
Negli anni successivi al concerto lirico-sinfonico fu riservata solamente la serata del 29 e il 28 sera si sostituì un intrattenimento di musica leggera con complessi e cantanti vari: la PMF, Riccardo Fogli, I cugini di campagna ed altri. Grande affluenza di gente si aveva anche dai paesi vicini.
In ogni caso a metà serata padre Brugliera saliva sul palco e interrompeva lo spettacolo musicale per ringraziare pubblicamente gli emigrati che si erano prodigati a raccogliere le offerte dall'Australia, dagli Stati Uniti, dall'Argentina, dal Canada, dal Venezuela - caspita, riflettevo io, ma i vizzinesi sono in ogni parte del mondo! - L'elenco cominciava con Cannizzaro Vito, inteso "funtanazza", dall'Australia e si proseguiva in stretto ordine alfabetico per non fare particolarità fino a Zagami dal Nebraska. In conclusione un ringraziamento per tutti ed una invocazione a San Giovanni affinchè li proteggese anche perchè lontani dalla propria terra. Grande applauso e riprendeva lo spettacolo musicale fino a notte inoltrata.
Il 28 pomeriggio spesso c'era stata una gara ciclistica in circuito che ospitava soprattutto atleti forestieri, celebri erano per determinazione quelli di Scordia, negli anni successivi si disputò anche una gimkana automobilistica.
Il 29 giorno iniziava la festa grande: la banda musicale cittadina di primo mattino faceva il giro delle vie del paese, santa Messa nella chiesa di San Giovanni, uscita del simulacro con sparo di mortaretti e suono festoso delle campane, il carro del santo trainato da numerosi volontari devoti e seguito dalla banda musicale paesana completava il giro per le strade del paese che non aveva percorso il pomeriggio precedente. Nella mattinata in via Vittorio Emanuele, nella zona d'ombra tra il bar Lentini e Morello concerto sinfonico della banda forestiera .
A mezzogiorno San Giovanni arrivava in piazza ed iniziava un ricco giuco del fuoco, erano presenti anche i cosiddetti palloni aerostatici che volavano in alto alimentati dal calore del fuoco sottostante, tutti stavano con il naso all'insù ad osservare. Talora qualche pallone mal equilibrato, essendo di carta, prendeva fuoco, suscitando un «oh oh oh!» di stupore accompagnato quasi sempre da una esclamazione riguardante l'organo genitale maschile.
Il solito discorso di ringraziamento di padre Brugliera per la raccolta delle offerte degli emigrati e una muschittaria, sparata nella scalazza, concludevano il fuoco del mezzogiorno. Dopodichè il Santo veniva ospitato fino a sera nella chiesa di San Sebastiano e tutti a casa per il pranzo e a riposare anche perchè la giornata era ancora lunga da passare. Il pranzo ritualmente iniziava con la pasta al forno, seguivano i vari secondi piatti accompagnati come contorno da una immancabile parmigiana di melanzane o caponatina, e si concludeva, altrettanto ritualmente, con una fresca e rinusa anguria comprata presso il cavaliere Gregorio - Liccio - Romano, di professione ufficiale accalappiacani municipale. O comprata presso un venditore forestiero, che, per l'occasione, aveva ammonticchiato una gran quantità di angurie nella zona della pumpiana.
Nel pomeriggio in piazza Umberto, nel frattempo nell'ombra, breve concerto musicale. In serata gran folla di visitatori al Santo, ospitato nella chiesa di San Sebastiano, fino a quando usciva per percorrere il viale Margherita. Allorchè il Santo transitava per piazza Marconi, la banda sul palco si zittiva in segno di rispetto. Sul tardi, a notte, San Giovanni seguito dalla banda musicale e da pochi fedeli si dirigeva per rientrare nella propria chiesa. Nel frattempo la gente si cominciava a posizionare nelle postazioni migliori per godersi il gioco del fuoco. I meno temerari si appoggiavano alla balaustra di piazza Marconi, invece i più temerari scendevano al largo Cappuccini in posizione più vicina al fuoco. Appena il Santo arrivava o ritu sparava il primo mascuni in secco, seguivano giochi pirotecnici vari: baiocchi, girandole (rutine), a proposito appena cominciava a girare la rutina era rituale la esclamazione «partiu», altrettanto rituale la esclamazione «sfalliu» se per caso la rutina si inceppava e si fermava. La cassa infernale concludeva il gioco del fuoco, una bomba potente in secco invitava la gente a tornarsene a casa con l'esclamazione «San Giuvanni!». Era sottinteso «proteggeteci!». Il campanone suonava a distesa fino al rientro del Santo.
Sempre nel frattempo le varie bancarelle smontavano e si smontavano le luminarie. L'indomani il paese si svuotava degli emigrati che erano venuti per le ferie dalla Germania o dalla Svizzera e si erano fermati per godersi la festa di san Giovanni. Partivano con le loro Fiat 124 o qualche rara 125 con copristerzo in plastica morbida, con sedili foderati in materiale vario, con la coda di tigre (gadget della Esso) legata all'antenna della radio. Riempivano le loro macchine fino all'inverosimile con tutto ciò che potesse ricordare il loro paese negli odori, nei sapori, nei colori: estratto di pomodoro, pomodori asciutti, melanzane sott'olio e chi più ne ha più ne metta .In cuor proprio la promessa di tornare l'anno venturo per la prossima festa di San Giovanni.
Ripeto il paese si svuotava letteralmente: i bar, le salumerie,le macellerie tornavano ad avere i loro abituali avventori che erano di gran lunga inferiori a quelli del mese di agosto. Partivano sperando sempre di mettere qualche soldo da parte in modo di poter comprare un bel tabacchino o un bar in modo da poter mandare a quel paese Svizzeri e Tedeschi che li ospitavano sì non facendo mancare loro niente come organizzazione del lavoro o dell'assistenza sociale, ma a costo di mangiare pane e cipolla dove la mettiamo la sola aria di Vizzini, il pane di Vizzini, l'acqua di Vizzini, la verdura di campagna di Vizzini. Qualche anno di sacrificio ancora e poi gliela mandavano a prendere in quel posto a svizzeri e tedeschi! Ciò dicevano nel loro cuore, tuttavia in apparenza dimostravano grande gratitudine per quelle nazioni che li avevano ospitati togliendoli dalla quotidiana, modesta vita vizzinese.
Caramente,
vostro doctor.
A proposito di banda cittadina mi viene in mente un particolare: quasi sempre uno degli scimuniti del paese reggeva la grancassa ed uno dei più anziani musicanti cafuddava colpi di mazzola per dare, assieme al suonatore dei piatti, il tempo a tutto il complesso bandistico. In genere era un ex suonatore di strumenti a fiato che, per sopraggiunto enfisema polmonare, non aveva più la capacità respiratoria per soffiare nella tromba, nel sassofono, nel bombardino o, peggio ancora, nel basso tuba, ma aveva ancora uno spiccato senso della musica per cui poteva essere benissimo utilizzato per dare il tempo e il ritmo. Molti suonatori avevano già un loro mestiere, soprattutto erano barbieri, falegnami o scarpari.
In piazza erano presenti i turrunari che forniti di bancarelle con balate di marmo preparavano in continuazione torrone di mandorla, mandorle agghiazzate, bomboloni e zucchero filato, in più esponevano liquirizie e delizie varie. Il profumo penetrante si diffondeva in maniera irresistibile per l'aere! La notte ricoprivano tutte le mercanzie con una tela cerata e dormivano sotto la bancarella.
La loro presenza in piazza anticipava l'inizio di una festa, finita la quale smantellavano e si recavano in un altro paese per un'altra festa locale. Confesso che da ragazzino avrei voluto tanto essere il figlio di un turrunaru e così girovagare per i paesi sempre in una atmosfera di festa!
La festa cominciava il 27 con "l'entrata a banna" che dava l'avvio ai festeggiamenti: la banda si radunava in via dei Galli e al suono di allegre marcette si recava fino alla chiesa di San Giovanni, dove veniva celebrata messa alla presenza delle autorità cittadine e dei numerosi fedeli. Si procedeva quindi alla "calata do quadro", lungo drappo che raffigurava San Giovanni. A fine Messa suono festoso delle campane e sparo di fuochi d'artificio. Tutte le luminarie illuminavano a giorno le strade principali del paese.
Il 28 pomeriggio dopo la celebrazione della S. Messa, preceduta dal suono festoso delle campane e dallo sparo di fuochi d'artificio, come ritualmente recitava il programma, uscita del simulacro, posto su un carro trainato dai fedeli con due lunghe e robuste funi. Il carro era quasi sempre guidato dal giuvannisi doc Michele Blangiardo, detto "Michele 'u pazzu" per l'esuberanza del carattere. Cosa inusuale, il fratello Paolo era vitisi e spesso guidava il carro delle Madonna dell' Idria.
In epoca successiva il carro di San Giovanni fu guidato da Michele Catalano, detto "Michele panzaredda", di professione gommista con bottega sita in via Roma. Montavano la guardia d'onore al simulacro i vigili urbani don Tanuzzu Guzzardi e don Mariuzzu De Petro, nonchè gli appuntati dei Carabinieri Italia e Bevilacqua. Era presente al gran completo la commissione annualmente nominata per i festeggiamenti del Santo: non mancava mai in commissione un cavagnaro di turno Peppi Ielo, Marino, Sudano, talora anche due.
Il giro del paese cominciava dalle "strade pisciate", quartiere "funtana", la banda musicale accompagnava il santo, al passaggio gli abitanti che erano nelle condizioni farlo, facevano una offerta in lire. Allorchè il Santo passava per i quartieri più ricchi, oltre alle offerte brevi manu si ostentava un rito: con uno spillo si agganciava una carta di 1.000 o 5.000 o 10.000 lire ad una cordicella, in genere era una scarparella, una chiave già legata ad una estremità faceva da appiombo, dal balcone si calava lentamente la cordicella, un addetto della commissione staccava lo spillo, ritirava l'offerta ed attaccava al suo posto una immaginetta benedetta di San Giovanni, il generoso devoto risaliva la cordicella, staccava l'immaginetta benedetta e la attaccava dietro la porta d'ingresso accanto a quella del patrono San Gregorio Magno affinchè la protezione per tutta la famiglia fosse raddoppiata contro i terremoti, i ladri e le malattie. Talora, per dovuto rispetto, a debita distanza, era posizionato anche un ferro di cavallo o un corno rosso in modo che la protezione fosse completa anche contro il malocchio.
La gente , spesso marito e moglie a braccetto, passeggiava per le strade principali e la villa comunale sfoggiando l'abito nuovo o, in ogni caso, il più dignitoso. La sera in piazza Marconi musica in palco, sia il 28 che il 29, per un concerto lirico-sinfonico a cura di una banda forestiera proveniente da paesi vicini o addirittura dalla Calabria. Leggendaria per bravura fu la banda proveniente dalla città di Rosarno. In epoca successiva altrettanto indimenticabile fu l'esibizione della banda musicale di Monterrosso Almo diretta dall'eclettico maestro capellone Terranova, erano in grado di eseguire anche brani di musica jazz. Piazza Marconi si riempiva di una serie di tavolini dove servivano i vari bar che avevano preso in affitto una bottega in loco per l'occasione, in epoca successiva comparvero i bar Russo, don Vittorio Acciarito, detto "a fana", ed altri. Si andava dagli ottimi pezzi duri del signor Lentini, sformati dalla scuzzetta e geometricamente divisi, a gelati in coppa guarniti in cima con un wafer o con una ciliegina, a bibite varie. Prendevano le ordinazioni e servivano ai tavoli i vari camerieri, tra questi non mancavano mai Gano di Maganza Risicato e Gregorio Lazzara. I meno abbienti si accontentavano di mangiucchiare càlia, calacausi, semenza e si dissetavano bevendo una gassosa o altra bibita di marca Masera-soda nella bottega del signor Di Grazia. Serviva personalmente il signor Di Grazia aiutato dal mitico Totò, uomo di una forza inaudita perchè era fornito sin dalla nascita di coda, cioè era nato con una vertebra soprannumeraria. La càlia la compravano nelle varie bancarelle o se la facevano preparare per tempo da donna Angelina Cusmano, soprannome "pasta e favi".
Almeno una settimana prima di san Giovanni donna Angelina cominciava la sua attività, regolarmente all'aperto in una ciappetta sotto casa: sin dal primo mattino preparava la vampa, sbollentava i ceci, li scolava e li metteva ad asciugare sistemandoli nei propri sacchetti di stoffa in cui erano stati portati. Finito di sbollentare tutte le partite di ceci, provvedeva a rendere incandescente della sabbia in una quadara dove versava i ceci e sempre mescolando con una pala di legno con un movimento di rotazione continua li abbrustoliva. Al momento giusto - in questo consisteva la bravura - si fermava e separava i ceci abbrustoliti dalla sabbia incandescente mediante uno staccio. E via per un altro giro! In tutta questa operazione non doveva essere assolutamente utilizzata alcuna stoviglia di metallo altrimenti il contatto con il freddo metallo faceva intronare i ceci. Donna Angelina cominciava di mattino presto e finiva a tarda sera. Quanta gente si accontentava di mangiare la semplice calia!
Negli anni successivi al concerto lirico-sinfonico fu riservata solamente la serata del 29 e il 28 sera si sostituì un intrattenimento di musica leggera con complessi e cantanti vari: la PMF, Riccardo Fogli, I cugini di campagna ed altri. Grande affluenza di gente si aveva anche dai paesi vicini.
In ogni caso a metà serata padre Brugliera saliva sul palco e interrompeva lo spettacolo musicale per ringraziare pubblicamente gli emigrati che si erano prodigati a raccogliere le offerte dall'Australia, dagli Stati Uniti, dall'Argentina, dal Canada, dal Venezuela - caspita, riflettevo io, ma i vizzinesi sono in ogni parte del mondo! - L'elenco cominciava con Cannizzaro Vito, inteso "funtanazza", dall'Australia e si proseguiva in stretto ordine alfabetico per non fare particolarità fino a Zagami dal Nebraska. In conclusione un ringraziamento per tutti ed una invocazione a San Giovanni affinchè li proteggese anche perchè lontani dalla propria terra. Grande applauso e riprendeva lo spettacolo musicale fino a notte inoltrata.
Il 28 pomeriggio spesso c'era stata una gara ciclistica in circuito che ospitava soprattutto atleti forestieri, celebri erano per determinazione quelli di Scordia, negli anni successivi si disputò anche una gimkana automobilistica.
Il 29 giorno iniziava la festa grande: la banda musicale cittadina di primo mattino faceva il giro delle vie del paese, santa Messa nella chiesa di San Giovanni, uscita del simulacro con sparo di mortaretti e suono festoso delle campane, il carro del santo trainato da numerosi volontari devoti e seguito dalla banda musicale paesana completava il giro per le strade del paese che non aveva percorso il pomeriggio precedente. Nella mattinata in via Vittorio Emanuele, nella zona d'ombra tra il bar Lentini e Morello concerto sinfonico della banda forestiera .
A mezzogiorno San Giovanni arrivava in piazza ed iniziava un ricco giuco del fuoco, erano presenti anche i cosiddetti palloni aerostatici che volavano in alto alimentati dal calore del fuoco sottostante, tutti stavano con il naso all'insù ad osservare. Talora qualche pallone mal equilibrato, essendo di carta, prendeva fuoco, suscitando un «oh oh oh!» di stupore accompagnato quasi sempre da una esclamazione riguardante l'organo genitale maschile.
Il solito discorso di ringraziamento di padre Brugliera per la raccolta delle offerte degli emigrati e una muschittaria, sparata nella scalazza, concludevano il fuoco del mezzogiorno. Dopodichè il Santo veniva ospitato fino a sera nella chiesa di San Sebastiano e tutti a casa per il pranzo e a riposare anche perchè la giornata era ancora lunga da passare. Il pranzo ritualmente iniziava con la pasta al forno, seguivano i vari secondi piatti accompagnati come contorno da una immancabile parmigiana di melanzane o caponatina, e si concludeva, altrettanto ritualmente, con una fresca e rinusa anguria comprata presso il cavaliere Gregorio - Liccio - Romano, di professione ufficiale accalappiacani municipale. O comprata presso un venditore forestiero, che, per l'occasione, aveva ammonticchiato una gran quantità di angurie nella zona della pumpiana.
Nel pomeriggio in piazza Umberto, nel frattempo nell'ombra, breve concerto musicale. In serata gran folla di visitatori al Santo, ospitato nella chiesa di San Sebastiano, fino a quando usciva per percorrere il viale Margherita. Allorchè il Santo transitava per piazza Marconi, la banda sul palco si zittiva in segno di rispetto. Sul tardi, a notte, San Giovanni seguito dalla banda musicale e da pochi fedeli si dirigeva per rientrare nella propria chiesa. Nel frattempo la gente si cominciava a posizionare nelle postazioni migliori per godersi il gioco del fuoco. I meno temerari si appoggiavano alla balaustra di piazza Marconi, invece i più temerari scendevano al largo Cappuccini in posizione più vicina al fuoco. Appena il Santo arrivava o ritu sparava il primo mascuni in secco, seguivano giochi pirotecnici vari: baiocchi, girandole (rutine), a proposito appena cominciava a girare la rutina era rituale la esclamazione «partiu», altrettanto rituale la esclamazione «sfalliu» se per caso la rutina si inceppava e si fermava. La cassa infernale concludeva il gioco del fuoco, una bomba potente in secco invitava la gente a tornarsene a casa con l'esclamazione «San Giuvanni!». Era sottinteso «proteggeteci!». Il campanone suonava a distesa fino al rientro del Santo.
Sempre nel frattempo le varie bancarelle smontavano e si smontavano le luminarie. L'indomani il paese si svuotava degli emigrati che erano venuti per le ferie dalla Germania o dalla Svizzera e si erano fermati per godersi la festa di san Giovanni. Partivano con le loro Fiat 124 o qualche rara 125 con copristerzo in plastica morbida, con sedili foderati in materiale vario, con la coda di tigre (gadget della Esso) legata all'antenna della radio. Riempivano le loro macchine fino all'inverosimile con tutto ciò che potesse ricordare il loro paese negli odori, nei sapori, nei colori: estratto di pomodoro, pomodori asciutti, melanzane sott'olio e chi più ne ha più ne metta .In cuor proprio la promessa di tornare l'anno venturo per la prossima festa di San Giovanni.
Ripeto il paese si svuotava letteralmente: i bar, le salumerie,le macellerie tornavano ad avere i loro abituali avventori che erano di gran lunga inferiori a quelli del mese di agosto. Partivano sperando sempre di mettere qualche soldo da parte in modo di poter comprare un bel tabacchino o un bar in modo da poter mandare a quel paese Svizzeri e Tedeschi che li ospitavano sì non facendo mancare loro niente come organizzazione del lavoro o dell'assistenza sociale, ma a costo di mangiare pane e cipolla dove la mettiamo la sola aria di Vizzini, il pane di Vizzini, l'acqua di Vizzini, la verdura di campagna di Vizzini. Qualche anno di sacrificio ancora e poi gliela mandavano a prendere in quel posto a svizzeri e tedeschi! Ciò dicevano nel loro cuore, tuttavia in apparenza dimostravano grande gratitudine per quelle nazioni che li avevano ospitati togliendoli dalla quotidiana, modesta vita vizzinese.
Caramente,
vostro doctor.
26/08/2007 | 5850 letture | 0 commenti
di doctor
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