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I racconti di Doctor
L'albero della cuccagna
Il quartiere del Cucco era un quartiere particolare. Era il quartiere più antico di Vizzini ed anche i suoi abitanti (i cuccarini) sembravano i più antichi del paese: vecchio modo di pensare, grande pragmatismo, grande capacità e volontà lavorativa.
Erano una vera comunità, tutti quanti fieri della propria origine topografica, avevano avuto due parroci (parrocchia San Giovanni Evangelista), padre Gandolfo e padre Li Volti successivamente, che erano stati i veri capi carismatici della comunità.
Del quartiere faceva parte anche il santuario della Madonna del Pericolo, frequentatissimo il sabato pomeriggio dai fedeli, che sempre avevano da chiedere una grazia alla Madonna.

La prima domenica di settembre si festeggiava la Madonna delle Grazie. Era una festa rionale ed oltre ai festeggiamenti in chiesa, il pomeriggio si approntavano fuori, lungo la via principale, bancarelle con mangiarizzi vari. Erano doni che venivano preparati dai parrocchiani, portati dai parrocchiani, venduti dai parrocchiani, spesso comprati dai parrocchiani medesimi che ne conoscevano la fragranza, nonchè la capacità di chi li aveva preparati, i soldi andavano sempre ai parrocchiani e servivano interamente per pagare le spese delle festa e di eventuali altre esigenze economiche della parrocchia.
Grande attrazione era l'albero della cuccagna (u iucu 'o travu). Si doveva scalare, abbracciandolo a mò di scimmia, un palo (u travu), imbrattato di sivu (grasso, saponata) in modo da renderne più difficoltosa l'ascesa, in cima al palo stava il premio, un cerchio cui stavano attaccati i doni: un iadduzzu, un salame, un fiasco di vino, un cucciddatu, biscotti, più un premio in denari. Vinceva chi riusciva ad afferrare per primo il cerchio che stava in cima. Erano consentiti espedienti vari pur di arrivare alla cima, i partecipanti si organizzavano tra loro in squadre: uno saliva sulle spalle dell'altro e cercava da quella base di scalare il travo. Spesso si aiutavano con una pezza vecchia che consentiva di aggrapparsi meglio e nel frattempo di rimuovere parte del sivo dal palo. In questo, spesso infruttuoso tentativo, non disdegnavano di impregnare di terriccio o di cenere la pezza.
Il giuoco durava tantissimo, vari erano i tentativi di risalire il palo, quando finalmente con grande determinazione e sforzo sembrava stessero per giungere alla meta improvvisamente e lentamente scivolavano giù tra un coro di «oh oh oh» di delusione e di stupore da parte degli spettatori. Qualche canaglia della quadra avversaria al posto dell'oh oh di stupore emetteva a mezza bocca, con o senza l'aiuto della mano, una pernacchia a bassa tonalità, modulata in maniera consona alla velocità di scivolata dell'avversario. Dopo un pausa, con grande determinazione riprendeva il tentativo, stavolta da parte di una squadra avversaria, nel frattempo il travo in parte ripulito del sivo, consentiva una più agevole arrampicata.
Bastava che toccassero con una manata il cerchio di ferro che sosteneva i doni per aggiudicarsi l'ambito premio. Un grande applauso liberatorio, una allegra marcetta trionfale suonata da un paio di musicanti, un discreto giuoco del fuoco concludevano la serata. Nel frattempo la gente aveva comprato, mangiato, o portato a casa gli ottimi mangiarizzi vari preparati dalle operose massaie del quartiere.
Inopportunamente qualche volta concludeva la serata un predicozzo di padre Li Volti che, con tono sempre greve, ricordava ai fedeli la futilità della vita terrena.

Il quartiere del Cucco era del tutto autonomo, aveva persino un fornaio, il signor Giandinoto, soprannominato Purtusu per l'abbondante pancia, il quale assieme alla moglie preparava pane per tutto il quartiere ed oltre. Munito di una Lambretta di colore chiaro con due panieri montati a mo' di bisaccia sul sellino posteriore, con scioltezza distribuiva a domicilio pane di casa e sorrisini per i suoi clienti sparsi per ogni zona del paese.
L'igiene era approssimativa: il pane stava nei panieri ben coperto da una pulita mappina, ma spesso l'avventore si voleva assicurare con le proprie mani che la forma di pane da acquistare fosse quella morbida e croccante al punto giusto, inducendo il signor Purtuso a minacciare che non li avrebbe più servito se fosse continuato ancora questo schifio! Dopo di che si matteva in capo al proprio motociclo e con un sorrisino si involava elegantemente dirigendosi verso altri clienti.

Se mancava qualcosa nel quartiere, gli abitanti si allontanavano un tantino fino al mercato dove c'era ogni ben di Dio di cose da mangiare e potevano comprare a buon prezzo frutta e verdura nonchè carne o pesce, poco più avanti, in direzione della piazza Umberto, c'erano le odorose salumerie di Santo Sbiezzi e di don Michelino Acciarito, nonchè le fornitissime mercerie del signor Dovile e del Palarino per poter comprare altri oggetti per la casa e per vestirsi anche di gusto. Difficilmente i cuccarini si spingevano oltre la piazza.

Fu il primo quartiere ad essere dotato di una buca periferica per impostare le lettere, così non c'era neanche bisogno di recarsi alla posta centrale, allocata al pianterreno del municipio, l'ottimo postino don Mariuzzu Giordano, dai baffi sempre ben curati, provvedeva tutti i giorni a svuotare la buca della eventuale posta in partenza.
In quel quartiere c'era anche il garage di Michele Blangiardo (detto Michele u pazzu per l'esuberanza del suo carattere) il quale posteggiava lì dentro il proprio camion, un Fiat 640 di colore verde, con il quale faceva piccoli e medi trasporti. In particolare trasportava pietre dalla pirrera di contrada Masera gestita dal signor Ventura, detto l'Africano, alla ABCD di Ragusa e che servivano per l'estrazione del cemento.
Una domenica mattino, disgraziatamente, mentre Michele steso sotto il camion ne controllava la corretta efficienza meccanica, si ruppero i freni e l'ingombrante automezzo cominciò a muoversi. Michele fu sfiorato dalle ruote, con un balzo felino sfuggì al camion in movimento e si salvò. Il camion, nel frattempo, prese velocità, travolse il bastione, piombò sulla chiesetta della Madonna del Pericolo: la campana aveva appena suonato il terzo richiamo, i fedeli in ordine sparso si appropinquavano, mentre padre Li Volti si apprestava a celebrare messa. «Terremoto, terremoto!». Fu la prima esclamazione che uscì dalla bocca dei devoti che non si erano ancora resi conto di quanto fosse in realtà accaduto. «Miracolo, miracolo!». Fu la seconda esclamazione con riferimento alla Madonna del Pericolo allorchè si resero conto del volo che aveva fatto il camion e che, tutto sommato, non fosse successo nulla di grave e che Michele fosse rimasto illeso, scantatizzu si e pallido come un cencio si, ma comunque vivo e salvo!

Quello era anche il quartiere che confinava con il quartiere dei manniri per cui facilmente di primo mattino o di tardo pomeriggio le vie erano percorse da greggi di capre che camminando camminando riempivano le vie di piccoli escrementi in quantità esorbitante. Non solo, ma le capre, se incontravano lungo il percorso qualcosa di verde - un arbusto, una pianta, un rampicante -, con un salto si iperestendevano e cafuddavano un morso a strappo, danneggiando in maniera irrimediabile la pianta. Ciò non poteva che fare adirare i legittimi proprietari che, esordendo con un «bi chi schifìu», indirizzavano ineleganti improperi nei riguardi dei curatoli che, a loro volta, facendo finta di costernarsi e di sorprendersi per quanto accaduto, roteavano in aria il frondoso bastone, invitando con decisione le proprie bestie a comportarsi educatamente.
Se assistevi casualmente per la prima volta ad in episodio del genere, avevi la sensazione che da un momento all'altro stesse per consumarsi una tragedia tra personaggi con un temperamento sanguigno come i nostri! Se, invece, non era la prima volta, ti rendevi conto che si stava recitando alla grande una commedia in cui ogni personaggio interpretava puntigliosamente il proprio ruolo: la massaia, che si arrabbiava per il passaggio delle capre che insozzavano la strada proprio davanti all'uscio di casa; non solo, ma danneggiavano le piante - tra l'altro è noto che dove morde la capra (che possiede particolari secrezioni salivari) non cresce più niente. Il capraio, che si meravigliava per l'insolito atteggiamento tanto maleducato delle proprie capre, ed inveiva contro di loro minacciandole, a gran voce, con il bastone frondoso. Le capre, che facevano finta di intimorirsi momentaneamente, ma, percorsi altri cinquanta metri a testa in giù, non appena vedevano un arbusto verde, si lanciavano ad addentarlo, continuando ad eliminare zoddiri in quantità industriale. Ciò avveniva puntualmente tutti i santi giorni!

Caramente,
vostro doctor.
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30/07/2006 | 4130 letture | 0 commenti
di doctor
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