I racconti di Doctor
La fiera dei morti
La fiera dei morti si svolgeva e si svolge tuttora nei giorni 30, 31 0ttobre e
mezza giornata dell'1 novembre nella via S. Giovanni. Giorno 2 la strada è
completamente sgombra per consentire un flusso veicolare scorrevole da e per il cimitero.
Spesso i firiuti sbaraccavano ancora prima perchè un acquazzone immancabilmente
li costringeva a togliere le tende anzitempo per evitare di essere travolti dalla
piena che scendeva per la Via S.Giovanni.
L'esposizione cominciava dalla calata dei cianchi e si concludeva al largo Cappuccini (u cianu o ritu). Chi possedeva una bottega o anche un piccolo bugigattolo lungo il percorso lo affittava per i giorni della fiera. Queste botteghe in genere erano affittate a venditori di abbigliamento: erano stracolme di cappotti, soprattutto da uomo, a doppio petto di foggia militare o ad un petto e mezzo, in tessuto di lana pesantissimo ('ravusu) a spina di pesce, a tinta scura, di colore grigio o marrone.
I cappottini da donna avevano al collo una pelliccetta di non so quale animale. Questi negozietti improvvisati erano frequentatissimi perchè in paese i negozi che vendevano abiti confezionati, fino agli anni '60, erano pressochè inesistenti. Inoltre pochi potevano permettersi di comprare la stoffa in uno dei vari fornitissimi negozi di pannieri (don Turiddu Cirnigliaro, Carlo e Alfonso Blangiardo, don Tanuzzu e don Turiddu Interlandi, Papè o Pippuzzu Cilmi) e poi farsi cucire un vestito o un cappotto da uno dei tanti ottimi sarti esistenti in paese (Cicciu Curiale, suo fratello Vicinzinu - i fratelli lapa - , Paolino Galifi, Giovanni Gandolfo, Pippino Verga, Ennio Lo Presti, Ninì Cilmi, Inserra u prussianu, i fratelli Ciccio e Cesare Montes) alcuni dei quali oltre a cucire, offrivano la possibilità di scegliere costose stoffe dai campionari e di mandarle a ritirare.
Erano dei bravi artigiani, ma soprattutto erano dei veri maestri, 'u mastru, facevano scuola di taglio e cucito per tanti giovani che volevano apprendere quel mestiere e venivano forgiati con una disciplina ed una "gavetta" quasi militaresca (dapprima scopavano per terra, poi accendevano il pesante ferro da stiro a carbone, finalmente potevano maneggiare ago e filo per 'ncimare ,dopo anni ed anni potevano assistere allo "atto maximo" che consisteva nel "taglio" della stoffa secondo le misure precedentemente prese).
Lungo il percorso per Via S. Giovanni si succedevano numerose bancarelle che vendevano di tutto: biancheria, giocattoli, maglierie, utilenseria varia; disposti disordinatamente si incontravano dalla calata dei cianchi in poi i venditori di fiori (crisantemi e bellissime dalie che ormai non si trovano più), spesso erano contadini che se possedevano un fazzoletto di terra, piantavano a tempo debito crisantemi e dalie per poterli vender per i morti e guadagnarci su qualche lira.
Un luogo particolare era la strettoia che congiunge la via S. Giovanni con il largo Cappuccini (u ritu). Appena entravi nella strettoia incontravi le bancarelle che vendevano frutta e ti colpiva l'intenso profumo di puma cola, piccole e profumatissime mele gialle, esposte nelle cassette su un letto di piccole strisce di carta bianca, non mancavano altri tipi di mele, melograni e melacotogne profumatissime, trionfavano, appese ad un chiodo, le rozze di pira spineddi, più duri delle pietre si potevano mangiare, ed erano buonissime, solamente cotte.
Incontravi anche qualche contadino che vendeva bastarduni, ma era poco frequentato dai paesani perchè i vizzinesi se hanno un pezzo di terreno per prima cosa piantano una pala di fichidindia e comunque hanno sempre un parente o un amico che li può addubbari a fichidindia e bastarduni gratuitamente (particolare di non secondaria importanza per il buon vizzinese ).
Altre bancarelle esponevano passuluna (fichi secchi) singoli o raccolti in artistiche rozze trapassate con fili di rafia, cotognata e mostarda essiccata nelle forme di terracotta o di latta raffiguranti effigi varie (non mancava mai un pesce, un grappolo d'uva e, con rispetto parlando, un cuore di Gesù), frutta secca varia (nuci, nuciddi, mandorle).
Man mano che continuavi ad inoltrarti verso u ritu ti investiva il fumo e l'odore delle caldarroste, disposte, per essere arrostite, nell'apposito caliaturi sul fucuni con la brace.
Al largo Cappuccini era un trionfo di venditori di coperte soprattutto bellissime e pesantissime cuttunine, da un lato rosse e dall'altro gialle, ma anche bombaci e copriletto.
I venditori creavano una specie di palcoscenico dall'interno del proprio furgone e con arguti monologhi in perfetto italiano vantavano la propria mercanzia ed invitavano a comprare urlando in un microfono, di prammatica rivestito da un fazzoletto; un altoparlante di marca Geloso diffondeva le loro non sempre convincenti argomentazioni.
Altri banditori con microfono ed altoparlante erano quelli che vendevano servizi di piatti e stoviglie, talora erano anche abili giocolieri per come maneggiavano la loro fragile mercanzia, quasi fossero artisti cinesi da circo equestre.
C'erano anche tanti venditori di scarpe, in genere scarpe da campagna, ma anche qualche paio di scarpe più fine.
Allo sbocco della discesa di Via Cappuccini a sinistra stavano appoggiati al muraglione scale, pertiche e paletti di tutte le misure, non mancavano cufina, canestri e panara di tutte le forme e dimensioni, varie scope di saggina o altro materiale.
Poco distanti sulla destra si vendevano zappe, zappette, zappuni, sciamarri, accette, martelli, picconi, mazze e relativi manici e marruggi.
Ma il vero cuore di largo Cappuccini erano i negozietti approntati per vendere ombrelli. Se in casa si doveva rinnovare la dotazione di ombrelli era tradizione comune aspettare la fiera dei morti per farlo - 'avannu pa fera de muorti ma accattari un paracqua! -. La varietà che si offriva all'acquirente era eccezionale: ombrelli di tutte le dimensioni, da quelli enormi che potevano riparare dalla pioggia il contadino a cavallo della viestia, la relativa viestia ed eventualmente anche il contenuto delle bisacce e delle viertule trasportate; gran varietà di ombrelli per uomo e per donna con manico rigorosamente in legno e con stoffa rigorosamente di colore nero, per quelli da donna erano consentiti i colori verde o marrone, ma sempre rigorosamente scuri. In epoca successiva comparvero le stoffe a fantasia a righe o a quadretti.
Si completava il giro di largo Cappuccini passando dai contadini e dagli ortolani che si posizionavano di fronte l'ex INAM: vendevano noci e bellissime cucuzze baffe che d'inverno, tagliate a fette, si cucinavano fritte, alla stemperata o con la minestra che si consumava per riscaldarsi nelle fredde serate. Chi non possedeva il frigorifero, ed eravamo in tanti, metteva le cocuzze al fresco nei balconi nello stesso posto dove d'estate venivano messi i bummula per l'acqua fresca.
Nei balconi stavano anche, nei panieri, le olive nere conservate sotto sale e pressate da una grossa pietra affinchè eliminassero tutta la inutile acquazzina. Era previsto un congruo periodo di stagionatura che non veniva mai rispettato, perchè noi ragazzi, forniti di un pezzo di pane, organizzavamo frequenti ed assidui pellegrinaggi al paniere delle olive fino a quando non ne rimanevano più.
A conclusione incontravi intere famiglie che si erano approvvigionate alla fiera di tutto l'indispensabile ed ogni elemento della famiglia portava qualcosa: la mamma una coperta sull'avambraccio, in mano uno o più sacchetti stracolmi di masserizie varie; il papà la necessaria utensileria, l'immancabile ombrello nuovo sotto l'ascella, una cocuzza baffa in braccio come fosse un neonato; i bambini qualche giocattolo e qualche dolcino.
L'esposizione cominciava dalla calata dei cianchi e si concludeva al largo Cappuccini (u cianu o ritu). Chi possedeva una bottega o anche un piccolo bugigattolo lungo il percorso lo affittava per i giorni della fiera. Queste botteghe in genere erano affittate a venditori di abbigliamento: erano stracolme di cappotti, soprattutto da uomo, a doppio petto di foggia militare o ad un petto e mezzo, in tessuto di lana pesantissimo ('ravusu) a spina di pesce, a tinta scura, di colore grigio o marrone.
I cappottini da donna avevano al collo una pelliccetta di non so quale animale. Questi negozietti improvvisati erano frequentatissimi perchè in paese i negozi che vendevano abiti confezionati, fino agli anni '60, erano pressochè inesistenti. Inoltre pochi potevano permettersi di comprare la stoffa in uno dei vari fornitissimi negozi di pannieri (don Turiddu Cirnigliaro, Carlo e Alfonso Blangiardo, don Tanuzzu e don Turiddu Interlandi, Papè o Pippuzzu Cilmi) e poi farsi cucire un vestito o un cappotto da uno dei tanti ottimi sarti esistenti in paese (Cicciu Curiale, suo fratello Vicinzinu - i fratelli lapa - , Paolino Galifi, Giovanni Gandolfo, Pippino Verga, Ennio Lo Presti, Ninì Cilmi, Inserra u prussianu, i fratelli Ciccio e Cesare Montes) alcuni dei quali oltre a cucire, offrivano la possibilità di scegliere costose stoffe dai campionari e di mandarle a ritirare.
Erano dei bravi artigiani, ma soprattutto erano dei veri maestri, 'u mastru, facevano scuola di taglio e cucito per tanti giovani che volevano apprendere quel mestiere e venivano forgiati con una disciplina ed una "gavetta" quasi militaresca (dapprima scopavano per terra, poi accendevano il pesante ferro da stiro a carbone, finalmente potevano maneggiare ago e filo per 'ncimare ,dopo anni ed anni potevano assistere allo "atto maximo" che consisteva nel "taglio" della stoffa secondo le misure precedentemente prese).
Lungo il percorso per Via S. Giovanni si succedevano numerose bancarelle che vendevano di tutto: biancheria, giocattoli, maglierie, utilenseria varia; disposti disordinatamente si incontravano dalla calata dei cianchi in poi i venditori di fiori (crisantemi e bellissime dalie che ormai non si trovano più), spesso erano contadini che se possedevano un fazzoletto di terra, piantavano a tempo debito crisantemi e dalie per poterli vender per i morti e guadagnarci su qualche lira.
Un luogo particolare era la strettoia che congiunge la via S. Giovanni con il largo Cappuccini (u ritu). Appena entravi nella strettoia incontravi le bancarelle che vendevano frutta e ti colpiva l'intenso profumo di puma cola, piccole e profumatissime mele gialle, esposte nelle cassette su un letto di piccole strisce di carta bianca, non mancavano altri tipi di mele, melograni e melacotogne profumatissime, trionfavano, appese ad un chiodo, le rozze di pira spineddi, più duri delle pietre si potevano mangiare, ed erano buonissime, solamente cotte.
Incontravi anche qualche contadino che vendeva bastarduni, ma era poco frequentato dai paesani perchè i vizzinesi se hanno un pezzo di terreno per prima cosa piantano una pala di fichidindia e comunque hanno sempre un parente o un amico che li può addubbari a fichidindia e bastarduni gratuitamente (particolare di non secondaria importanza per il buon vizzinese ).
Altre bancarelle esponevano passuluna (fichi secchi) singoli o raccolti in artistiche rozze trapassate con fili di rafia, cotognata e mostarda essiccata nelle forme di terracotta o di latta raffiguranti effigi varie (non mancava mai un pesce, un grappolo d'uva e, con rispetto parlando, un cuore di Gesù), frutta secca varia (nuci, nuciddi, mandorle).
Man mano che continuavi ad inoltrarti verso u ritu ti investiva il fumo e l'odore delle caldarroste, disposte, per essere arrostite, nell'apposito caliaturi sul fucuni con la brace.
Al largo Cappuccini era un trionfo di venditori di coperte soprattutto bellissime e pesantissime cuttunine, da un lato rosse e dall'altro gialle, ma anche bombaci e copriletto.
I venditori creavano una specie di palcoscenico dall'interno del proprio furgone e con arguti monologhi in perfetto italiano vantavano la propria mercanzia ed invitavano a comprare urlando in un microfono, di prammatica rivestito da un fazzoletto; un altoparlante di marca Geloso diffondeva le loro non sempre convincenti argomentazioni.
Altri banditori con microfono ed altoparlante erano quelli che vendevano servizi di piatti e stoviglie, talora erano anche abili giocolieri per come maneggiavano la loro fragile mercanzia, quasi fossero artisti cinesi da circo equestre.
C'erano anche tanti venditori di scarpe, in genere scarpe da campagna, ma anche qualche paio di scarpe più fine.
Allo sbocco della discesa di Via Cappuccini a sinistra stavano appoggiati al muraglione scale, pertiche e paletti di tutte le misure, non mancavano cufina, canestri e panara di tutte le forme e dimensioni, varie scope di saggina o altro materiale.
Poco distanti sulla destra si vendevano zappe, zappette, zappuni, sciamarri, accette, martelli, picconi, mazze e relativi manici e marruggi.
Ma il vero cuore di largo Cappuccini erano i negozietti approntati per vendere ombrelli. Se in casa si doveva rinnovare la dotazione di ombrelli era tradizione comune aspettare la fiera dei morti per farlo - 'avannu pa fera de muorti ma accattari un paracqua! -. La varietà che si offriva all'acquirente era eccezionale: ombrelli di tutte le dimensioni, da quelli enormi che potevano riparare dalla pioggia il contadino a cavallo della viestia, la relativa viestia ed eventualmente anche il contenuto delle bisacce e delle viertule trasportate; gran varietà di ombrelli per uomo e per donna con manico rigorosamente in legno e con stoffa rigorosamente di colore nero, per quelli da donna erano consentiti i colori verde o marrone, ma sempre rigorosamente scuri. In epoca successiva comparvero le stoffe a fantasia a righe o a quadretti.
Si completava il giro di largo Cappuccini passando dai contadini e dagli ortolani che si posizionavano di fronte l'ex INAM: vendevano noci e bellissime cucuzze baffe che d'inverno, tagliate a fette, si cucinavano fritte, alla stemperata o con la minestra che si consumava per riscaldarsi nelle fredde serate. Chi non possedeva il frigorifero, ed eravamo in tanti, metteva le cocuzze al fresco nei balconi nello stesso posto dove d'estate venivano messi i bummula per l'acqua fresca.
Nei balconi stavano anche, nei panieri, le olive nere conservate sotto sale e pressate da una grossa pietra affinchè eliminassero tutta la inutile acquazzina. Era previsto un congruo periodo di stagionatura che non veniva mai rispettato, perchè noi ragazzi, forniti di un pezzo di pane, organizzavamo frequenti ed assidui pellegrinaggi al paniere delle olive fino a quando non ne rimanevano più.
A conclusione incontravi intere famiglie che si erano approvvigionate alla fiera di tutto l'indispensabile ed ogni elemento della famiglia portava qualcosa: la mamma una coperta sull'avambraccio, in mano uno o più sacchetti stracolmi di masserizie varie; il papà la necessaria utensileria, l'immancabile ombrello nuovo sotto l'ascella, una cocuzza baffa in braccio come fosse un neonato; i bambini qualche giocattolo e qualche dolcino.
05/11/2005 | 8141 letture | 0 commenti
di doctor
Cerca nel sito
Eventi
Articoli
RUBRICHE | Fisco e Finanza
25/01/2018 | 12311 letture
di C.B.
RUBRICHE | Terza pagina
27/07/2017 | 17235 letture
di M.G.V.
RUBRICHE | Economia
22/01/2017 | 14301 letture
di G.A.
RUBRICHE | Medicina
05/07/2016 | 12577 letture
di C.S.
Informazioni utili
- » Farmacie
- » Trasporti
- » Associazioni
Conferimento rifiuti
Newsletter
La città e la sua gente
- » Storia
- » Personaggi
- » Emigrati
Meteo
Le previsioni per i prossimi 7 giorni a Vizzini.
Per i dettagli clicca qui.
Per i dettagli clicca qui.
Collabora e segnala
Vuoi segnalare un problema di cui InfoVizzini.it dovrebbe occuparsi?
Ti piacerebbe diventare uno dei nostri collaboratore?
Stai organizzando un evento?
Desideri inviarci una foto o un video su Vizzini?