I racconti di Doctor
Amarcord vizzinese
La festa dei morti
Molto tempo prima ci preparavamo spiritualmente: quelle giornate di festa per noi ragazzi avevano qualcosa di misterioso e di particolare nello stesso tempo, era anche la prima interruzione del periodo scolastico, quindi sempre benvenuta!
Nessuno di noi in realtà aveva mai creduto, se non da piccoli piccoli, che i morti scendessero in terra la notte di tutti i santi per portare ai buoni i regali desiderati ed ai cattivi... niente! Però quella notte ed il mattino successivo avevano un fascino tutto particolare.
Intanto il fascino dell'autunno: finalmente la temperatura più fresca dell'autunno rispetto all'estate torrida, i colori più attenuati e caldi dell'autunno, gli incantevoli e variopinti tramonti dell'autunno in una atmosfera limpida e trasparente, l'aria intrisa degli odori dell'autunno (la marmellata di cotogne, il mosto, la mostarda di fichidindia o di mosto preparata all'aperto dalle buone massaie, il relativo fumo di sarmenti bruciati per fare la vampa, l'olio nuovo appena uscito dal frantoio).
Ci aggiravamo noi ragazzi in avanscoperta per adocchiare qualche regalo da proporre ai "nostri morti". Quello che ci attirava in maniera intensa, come il cirneco viene attirato dalla preda, era la bottega di don Vincenzino Catalano ('u scagghiaru): il profumo dello zucchero lavorato per confezionare bellissimi pupi (il carabiniere e la damina), fuoriusciva dalla bottega e si espandeva a fiotti per la strada del Rosario.
La bottega oltre ai pupi di zucchero esponeva liquirizie nere in tutte le forme (mentine, rocchetti, treccine, confetture bianche con un nucleo centrale di liquirizia nera), le prime gomme americane a forma sferica rivestite da un croccante guscio dal sapore ed odore celestiale, biscottini vari, torrone bianco o scuro di mandorla o di giuggiulena lavorato con il miele, ossa dei morti, totò, bersaglieri, pasta reale di forma varia (incantevoli quelle raffiguranti il piriceddu, la nespola, le castagne arrostite), fragoloni giganti di zucchero lavorato a meringa e colorato di un rosso ancora più intenso del rosso fragola - se ne mangiavamo più del giusto l'indomani mattino anche la nostra prima pipì era di colore rosato, creando così un allarme fugace nei nostri genitori che si rasserenavano allorchè venivano a conoscenza di che cosa avevamo mangiato il giorno prima e ci rimproveravano regolarmente non per ciò che avevamo mangiato, ma per la quantità "da suino" ingurgitata.
Inoltre don Vincenzino era anche un buon fornitore di fulminanti e di capsule che ci servivano per giocare a "mani in alto" con le pistole a tamburo a 6 colpi o a 12 colpi, le più avanzate, che quasi di prassi per i morti ci venivano regalate a noi figli maschi.
A conclusione della nostra ispezione, per poche lire compravamo un bigliettino di una pesca miracolosa che esponeva favolosi premi, ma in realtà ci faceva vincere qualche caramella, al massimo un bovolone, che era un wafer gigante, o una trombetta monotonale di grandezza ridicola.
Quella bottega, allora, era la nostra droga e don Vincenzino lo spacciatore incallito!!!
Altro possibile fornitore di regali dei morti era il cav. Gregorio Dovile, che oltre a fornire fino a domicilio bombole di gas liquido di marca Pibigas - ironia della sorte, quasi tutti i portatori di bombole a domicilio che si sono succeduti negli anni appartenevano alla famiglia dei Pospero (fiammifero), vi immaginate che miscela esplosiva vagante!!! -, aveva una delle più fornite mercerie del paese (aghi, spagnolette, bottoni vari e di colori vari che erano attaccati, come campione, sul frontale delle scatole ordinate negli scaffali l'una sull'altra con metodica regolarità, calze, calzini, elastici di varia foggia e per vari usi).
Nel periodo dei morti troneggiava sul bancone una dovizia di giocattoli quasi tutti a carica meccanica manuale, raramente a pile - non esisteva ancora l'elettronica - pistole giocattolo varie (da quelle a sghiccio, a quelle con i fulminanti, a quelle con le capsule), per le femminucce, a parte le bambole e bambolotti vari più o meno piangenti, una gran varietà di servizi da caffè e the formato mignon.
Nella stessa strada del Rosario c'era accanto il negozio do Palarinu - mi pare fosse Puccio il cognome -, normalmente fornitissimo di belle camice per uomo e raffinate camicette da donna, pullover, golfini di lana e di cotone, anche questo negozio in occasione della festa dei morti si attrezzava per la vendita di giocattoli vari.
Nella piazza Umberto all'angolo con la via S.Sebastiano c'era il negozio di don Lolò Costa - Lolò è l'ennesimo diminutivo di Gregorio gli altri sono Lilì, Lilè, Lulù, Luoli, Liccio, Liddu, si arrivava anche al diminutivo del vezzeggiativo con Luliddu e forse altri - questo negozio era anch'esso una merceria, ma non si attrezzava per la festa dei morti. La vetrina aveva un particolare: era protetta da una sbarra trasversale di ferro con relativi spuntoni di forma lanceolata diretti verso lo spettatore per evitare che si avvicinasse troppo al vetro e lo potesse rompere o sporcare.
Procedendo per la strada di San Sebastiano una tappa d'obbligo era dalla signora Catalano anche lei aveva una fornitissima merceria che oltre ad avere le migliori maglie e mutande di lana (di marca MAMABU che come marchio aveva tre M l'una sopra l'altra e quella più in basso conteneva l'effige di una testa di leone), le migliori pezze di tela, merletti, sottovesti, scarparelle (fettucce di cotone, tessuto a trama larga, avvolte a ruota e che cucite servivano a fissare gli orli di gonne e pantaloni), filoforte, appuntapanni, cunchitti bianchi e neri che erano spilli di sicurezza e si infiggevano alla sommità della chiusura lampo; per la festa dei morti esponeva in bella evidenza giocattoli vari.
Era ricercato questo negozio dalle ragazze per le bellissime bambole che «gli mancava solo la parola» e paffuti bambolotti detti bambocci che piangevano a comando; servizi da caffè e da the, cucine e bagni in miniatura talora talmente verosimili che si aggiungeva anche l'acqua in un ipotetico serbatoio.
Per noi maschi oltre le solite pistole, fucili e cavalli a dondolo, ad attirare la nostra attenzione erano i vari giocattoli: modellini di automobili e di motociclette che si muovevano a corda o a pila, stupefacente fu un anno un modello di aereo alimentato a pila che non solo si muoveva a comando, ma anche apriva e chiudeva le ali ad ogni sosta.
Sorvegliavano i numerosi avventori oltre l'occhialuta signora Cunciò, le figlie Salvina - che successivamente fu mia professoressa di lettere - e Pina, ambedue mie affettuosissime amiche nonchè fornitrici di preziose notizie della Vizzini d'altri tempi.
Un negozio particolare era quello che si trovava all'inizio di via dei Galli salendo a sinistra, sopra la pumpiana e sotto il palazzo che era abitato prima dal notaio Passanisi e successivamente da Tano Naco.
In questo negozio oltre alla vendita di carbone e delle micce di cera fitta con relativo stoppino per accenderlo, si vendeva anche petrolio e DDT. Noi ragazzi eravamo attratti perchè si vendevano rummula o tuppetteri, come si dice a Catania, di varie dimensioni: dalle traccalazze, le più grandi, alle firrittedde le più piccole, in più vendeva anche delle ottime lazzate. Tutto questo ci serviva perchè l'autunno era la stagione in cui noi maschi giocavamo ai pizzati con i rummula.
Le attrezzature venivano personalizzate ed elaborate ad esigenze e gusti propri: le lazzate venivano personalizzate aggiungendo un pezzo di cuoio a forma di disco che andava posizionato, trattenuto da un bel nodo, alla estremità prossimale della lazzata, tale estremità si introduceva tra il 4º e 5º dito della mano destra, dalla estremità distale della lazzata si avvolgeva invece fitto fitto il rummulo. Nel momento in cui si effettuava il lancio, che doveva essere secco e senza titubanza alcuna, il disco di cuoio diventava un ottimo fermo per la lazzata tra le dita, il che consentiva un lancio secco, veloce, forte e deciso. Allorchè il lancio era nella variante 'n capu tranti o all'ancilina come si dice a Catania, il disco in cuoio assumeva un ruolo di indispensabile e non più di optional.
Il rummulo veniva "elaborato" anche nel pizzo: si poteva sostituire il pizzo in dotazione con un pizzo più grande appositamente confezionato dei fabbri locali che allora erano numerosi a Vizzini. Prima di infiggere il nuovo pizzo la punta nuova veniva avvolta in una sottile filinia o strisciata nello sterco di cavallo. A detta di tutti, questa sorta di rito o mavaria che dir si voglia, conferiva al rummulo maggiore potenza e faceva si che il rummolo lapuniasse quando girava e soprattutto girasse "sereno".
Soddisfatti, dalla pumpiana ce ne tornavamo a casa non prima di aver addentato una mafaldina da 20 lire imbottita con 30 lire tra mortadella e sgombro confezionata dall'impeccabile don Emanuele il carabiniere.
Caramente,
vostro doctor
P.S.: spero prima di tutti i Santi di completare un articolo sulla fiera dei morti e di inviarvelo.
Molto tempo prima ci preparavamo spiritualmente: quelle giornate di festa per noi ragazzi avevano qualcosa di misterioso e di particolare nello stesso tempo, era anche la prima interruzione del periodo scolastico, quindi sempre benvenuta!
Nessuno di noi in realtà aveva mai creduto, se non da piccoli piccoli, che i morti scendessero in terra la notte di tutti i santi per portare ai buoni i regali desiderati ed ai cattivi... niente! Però quella notte ed il mattino successivo avevano un fascino tutto particolare.
Intanto il fascino dell'autunno: finalmente la temperatura più fresca dell'autunno rispetto all'estate torrida, i colori più attenuati e caldi dell'autunno, gli incantevoli e variopinti tramonti dell'autunno in una atmosfera limpida e trasparente, l'aria intrisa degli odori dell'autunno (la marmellata di cotogne, il mosto, la mostarda di fichidindia o di mosto preparata all'aperto dalle buone massaie, il relativo fumo di sarmenti bruciati per fare la vampa, l'olio nuovo appena uscito dal frantoio).
Ci aggiravamo noi ragazzi in avanscoperta per adocchiare qualche regalo da proporre ai "nostri morti". Quello che ci attirava in maniera intensa, come il cirneco viene attirato dalla preda, era la bottega di don Vincenzino Catalano ('u scagghiaru): il profumo dello zucchero lavorato per confezionare bellissimi pupi (il carabiniere e la damina), fuoriusciva dalla bottega e si espandeva a fiotti per la strada del Rosario.
La bottega oltre ai pupi di zucchero esponeva liquirizie nere in tutte le forme (mentine, rocchetti, treccine, confetture bianche con un nucleo centrale di liquirizia nera), le prime gomme americane a forma sferica rivestite da un croccante guscio dal sapore ed odore celestiale, biscottini vari, torrone bianco o scuro di mandorla o di giuggiulena lavorato con il miele, ossa dei morti, totò, bersaglieri, pasta reale di forma varia (incantevoli quelle raffiguranti il piriceddu, la nespola, le castagne arrostite), fragoloni giganti di zucchero lavorato a meringa e colorato di un rosso ancora più intenso del rosso fragola - se ne mangiavamo più del giusto l'indomani mattino anche la nostra prima pipì era di colore rosato, creando così un allarme fugace nei nostri genitori che si rasserenavano allorchè venivano a conoscenza di che cosa avevamo mangiato il giorno prima e ci rimproveravano regolarmente non per ciò che avevamo mangiato, ma per la quantità "da suino" ingurgitata.
Inoltre don Vincenzino era anche un buon fornitore di fulminanti e di capsule che ci servivano per giocare a "mani in alto" con le pistole a tamburo a 6 colpi o a 12 colpi, le più avanzate, che quasi di prassi per i morti ci venivano regalate a noi figli maschi.
A conclusione della nostra ispezione, per poche lire compravamo un bigliettino di una pesca miracolosa che esponeva favolosi premi, ma in realtà ci faceva vincere qualche caramella, al massimo un bovolone, che era un wafer gigante, o una trombetta monotonale di grandezza ridicola.
Quella bottega, allora, era la nostra droga e don Vincenzino lo spacciatore incallito!!!
Altro possibile fornitore di regali dei morti era il cav. Gregorio Dovile, che oltre a fornire fino a domicilio bombole di gas liquido di marca Pibigas - ironia della sorte, quasi tutti i portatori di bombole a domicilio che si sono succeduti negli anni appartenevano alla famiglia dei Pospero (fiammifero), vi immaginate che miscela esplosiva vagante!!! -, aveva una delle più fornite mercerie del paese (aghi, spagnolette, bottoni vari e di colori vari che erano attaccati, come campione, sul frontale delle scatole ordinate negli scaffali l'una sull'altra con metodica regolarità, calze, calzini, elastici di varia foggia e per vari usi).
Nel periodo dei morti troneggiava sul bancone una dovizia di giocattoli quasi tutti a carica meccanica manuale, raramente a pile - non esisteva ancora l'elettronica - pistole giocattolo varie (da quelle a sghiccio, a quelle con i fulminanti, a quelle con le capsule), per le femminucce, a parte le bambole e bambolotti vari più o meno piangenti, una gran varietà di servizi da caffè e the formato mignon.
Nella stessa strada del Rosario c'era accanto il negozio do Palarinu - mi pare fosse Puccio il cognome -, normalmente fornitissimo di belle camice per uomo e raffinate camicette da donna, pullover, golfini di lana e di cotone, anche questo negozio in occasione della festa dei morti si attrezzava per la vendita di giocattoli vari.
Nella piazza Umberto all'angolo con la via S.Sebastiano c'era il negozio di don Lolò Costa - Lolò è l'ennesimo diminutivo di Gregorio gli altri sono Lilì, Lilè, Lulù, Luoli, Liccio, Liddu, si arrivava anche al diminutivo del vezzeggiativo con Luliddu e forse altri - questo negozio era anch'esso una merceria, ma non si attrezzava per la festa dei morti. La vetrina aveva un particolare: era protetta da una sbarra trasversale di ferro con relativi spuntoni di forma lanceolata diretti verso lo spettatore per evitare che si avvicinasse troppo al vetro e lo potesse rompere o sporcare.
Procedendo per la strada di San Sebastiano una tappa d'obbligo era dalla signora Catalano anche lei aveva una fornitissima merceria che oltre ad avere le migliori maglie e mutande di lana (di marca MAMABU che come marchio aveva tre M l'una sopra l'altra e quella più in basso conteneva l'effige di una testa di leone), le migliori pezze di tela, merletti, sottovesti, scarparelle (fettucce di cotone, tessuto a trama larga, avvolte a ruota e che cucite servivano a fissare gli orli di gonne e pantaloni), filoforte, appuntapanni, cunchitti bianchi e neri che erano spilli di sicurezza e si infiggevano alla sommità della chiusura lampo; per la festa dei morti esponeva in bella evidenza giocattoli vari.
Era ricercato questo negozio dalle ragazze per le bellissime bambole che «gli mancava solo la parola» e paffuti bambolotti detti bambocci che piangevano a comando; servizi da caffè e da the, cucine e bagni in miniatura talora talmente verosimili che si aggiungeva anche l'acqua in un ipotetico serbatoio.
Per noi maschi oltre le solite pistole, fucili e cavalli a dondolo, ad attirare la nostra attenzione erano i vari giocattoli: modellini di automobili e di motociclette che si muovevano a corda o a pila, stupefacente fu un anno un modello di aereo alimentato a pila che non solo si muoveva a comando, ma anche apriva e chiudeva le ali ad ogni sosta.
Sorvegliavano i numerosi avventori oltre l'occhialuta signora Cunciò, le figlie Salvina - che successivamente fu mia professoressa di lettere - e Pina, ambedue mie affettuosissime amiche nonchè fornitrici di preziose notizie della Vizzini d'altri tempi.
Un negozio particolare era quello che si trovava all'inizio di via dei Galli salendo a sinistra, sopra la pumpiana e sotto il palazzo che era abitato prima dal notaio Passanisi e successivamente da Tano Naco.
In questo negozio oltre alla vendita di carbone e delle micce di cera fitta con relativo stoppino per accenderlo, si vendeva anche petrolio e DDT. Noi ragazzi eravamo attratti perchè si vendevano rummula o tuppetteri, come si dice a Catania, di varie dimensioni: dalle traccalazze, le più grandi, alle firrittedde le più piccole, in più vendeva anche delle ottime lazzate. Tutto questo ci serviva perchè l'autunno era la stagione in cui noi maschi giocavamo ai pizzati con i rummula.
Le attrezzature venivano personalizzate ed elaborate ad esigenze e gusti propri: le lazzate venivano personalizzate aggiungendo un pezzo di cuoio a forma di disco che andava posizionato, trattenuto da un bel nodo, alla estremità prossimale della lazzata, tale estremità si introduceva tra il 4º e 5º dito della mano destra, dalla estremità distale della lazzata si avvolgeva invece fitto fitto il rummulo. Nel momento in cui si effettuava il lancio, che doveva essere secco e senza titubanza alcuna, il disco di cuoio diventava un ottimo fermo per la lazzata tra le dita, il che consentiva un lancio secco, veloce, forte e deciso. Allorchè il lancio era nella variante 'n capu tranti o all'ancilina come si dice a Catania, il disco in cuoio assumeva un ruolo di indispensabile e non più di optional.
Il rummulo veniva "elaborato" anche nel pizzo: si poteva sostituire il pizzo in dotazione con un pizzo più grande appositamente confezionato dei fabbri locali che allora erano numerosi a Vizzini. Prima di infiggere il nuovo pizzo la punta nuova veniva avvolta in una sottile filinia o strisciata nello sterco di cavallo. A detta di tutti, questa sorta di rito o mavaria che dir si voglia, conferiva al rummulo maggiore potenza e faceva si che il rummolo lapuniasse quando girava e soprattutto girasse "sereno".
Soddisfatti, dalla pumpiana ce ne tornavamo a casa non prima di aver addentato una mafaldina da 20 lire imbottita con 30 lire tra mortadella e sgombro confezionata dall'impeccabile don Emanuele il carabiniere.
Caramente,
vostro doctor
P.S.: spero prima di tutti i Santi di completare un articolo sulla fiera dei morti e di inviarvelo.
28/10/2005 | 4584 letture | 0 commenti
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