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I racconti di Doctor
Incredibili ma veri: Provvidenza Felice
Galleria di personaggi strani, fatti, episodi, ai limiti della realtà Per rispetto della privacy i nomi ed i luoghi sono di pura fantasia. A cura di Doctor.

Provvidenza Felice

Provvidenza era il cognome, Felice era il nome. Apparteneva al segno dello zodiaco del Leone, aveva circa quaranta anni, da giovane se ne era fiuto e aveva tre figli.
Dato il nome, il cognome ed il segno dello zodiaco ti aspetti un personaggio con grande carisma, grandi capacità lavorative ed organizzative, chissà di quanti e quali avvenimenti provvidenziali e felici aveva goduto in vita sua.
Niente di tutto ciò: era un gran sognatore, peraltro sfortunato, che nella propria vita non aveva accumulato altro che una serie di peripezie. Proveniva da un paese, anzi una cittadina, anzi un mancato capoluogo della provincia Iblea, ricco di monumenti, arte e cultura, ma poteva benissimo provenire da un paese come il nostro per la sua storia personale.

Al suo paese aveva lavoricchiato ovunque, nella campagna, nella muratura, aveva fatto l'imbianchino pur di guadagnare qualche lira da portare casa per sfamare la famiglia.
Viste le difficoltà economiche, aveva preso il coraggio a due mani ed era emigrato successivamente in Germania giusto per trovare un lavoro continuativo, avere modo di guadagnare qualche lira, anzi qualche marco, poter avere i versamenti
Si considerava uno di quelli che se fosse rimasto al suo paese avrebbe mangiato per gran parte della propria vita pane e cipolla, avrebbe racimolato qualche sussidio di disoccupazione, al massimo, se ben appoggiato, avrebbe potuto acquisire qualche punteggio di invalidità civile con i relativi benefici previsti dalla legge.

Era stato un testardo, ma con la schiena sempre dritta: non aveva voluto chiedere aiuto a nessuno, non aveva voluto pregare nessuno, perchè si pregano solo i Santi, aveva confidato nelle proprie capacità ed era emigrato nella grande Germania.

Arrivò a noi in ospedale il 31 dicembre di qualche anno addietro alle ore 12:30, allorchè dopo lo scambio degli auguri di buon anno, ce ne stavamo andando tutti a casa tranne il medico di guardia.
Alto, magro, allampanato, pallido, con gli occhi stralunati, ipercinetico, fortemente febbrile si ricoverò con diagnosi di "sospetta neurobrucellosi" formulata dal primario dirigente della divisione di malattie infettive dell'ospedale del suo paese.
Portava con sè due ampie valigie di cartone, una delle quali conteneva "carte" di famiglia (certificati vari, fotocopie di certificati di malattia, passaporto, attestati di lavoro del periodo trascorso in Germania da emigrante ed altro).
Tutti noi abbiamo intravisto in quel paziente, scaricato dall'ospedale del suo paese giusto in data 31 dicembre, una gran rottura di scatole per un caso clinico banale. Il tempo ci dimostrò che non era affatto un caso clinico banale, che la diagnosi era difficile da formulare, furono eseguiti esami di laboratorio, accertamenti strumentali, vennero chiamati i neurologi a consulto, ma con esito negativo. L'unica certezza - magra consolazione - era quella di avere a che fare con una febbre sensibile al cortisone: non appena il paziente cominciava a fare cortisone sfebbrava, stava bene e diventava intollerante all'ospedale; voleva rivedere il suo paese, i suoi figli, desiderava fortemente il trionfo del talamo coniugale.

Una sera da me stimolato, dato il nome ed il cognome, a trovare un episodio provvidenziale e felice occorsogli durante la vita, lo lasciai impegnatissimo a rincorrere la memoria. L'indomani mattino dopo una notte insonne, dopo aver a lungo riflettuto, con le braccia larghe mi rispose che l'unico fatto positivo della sua vita era quello di avere una famiglia numerosa, ma nello stesso tempo era stata sempre il suo grande cruccio come sfamarla dignitosamente.

Gli piaceva disegnare, fare schizzi di facciate di chiese, di palazzi, di statue, progetti di una agognata quanto improbabile casa di campagna. Gli procurai, rendendolo felice, matite, album da disegno pur di tenerlo impegnato. Mi raccontò di episodi avvenuti durante il suo soggiorno in Germania: lavorava in una acciaieria, un giorno stava per cadere in un altoforno.
I tedeschi erano gente seria, precisa, lavoratori inappuntabili. Quella si che era gente seria e popolo grande, però facevano eseguire agli italiani o comunque agli immigrati i lavori più pericolosi e usuranti e quando il fisico non ne poteva più li mandavano a casa, ma con tanto di indennità. Quella si che era gente seria, civile, popolo grande!!!

Un mattino al mio ritorno in ospedale non trovai più Provvidenza Felice, nè le sue capienti valigie di cartone, nè le sue carte di famiglia, nè i suoi schizzi, nè quegli occhi stralunati che negli ultimi tempi sembravano dirmi: "ti voglio bene perchè ti prendi cura di me, ma purtroppo non hai capito nulla della mia malattia".
La sera precedente mi aveva confermato per l'ennesima volta il suo desiderio di volersene tornare a casa, di rivedere i suoi figli, di sfogarsi sessualmente; non conosceva nulla di Catania nè vie, nè linee di autobus urbani, nè orari di autobus in partenza per il suo paese. Dalla mezzanotte aveva cominciato a preparare le sue bagattelle, alle quattro del mattino era già tutto pronto e lui seduto su una sedia per paura di riaddormentarsi ha aspettato che albeggiasse, ha firmato la cartella clinica e se ne è andato via per prendere il primo autobus per il suo paese.

Dopo tempo il primario di malattie infettive del suo paese mi riferì che Provvidenza Felice stava bene ed era stato guarito da un mago che gli aveva prescritto chissà quali intrugli. Tutto questo avveniva nel 1984.

Una considerazione mi viene in mente: quanto è stato grande e quanto è sempre attuale il nostro "nonno" Giovanni Verga quando si parla di "vinti"!!!
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29/05/2005 | 3294 letture | 0 commenti
di doctor
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