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I racconti di Doctor
Clamoroso furto in gioielleria
Erano i soliti ignoti che consorziati in combriccola - cricca si direbbe oggi - commettevano furti in successione. Del gruppo faceva parte il piriuoto, cioè il basista, in pratica colui che forniva le notizie base sull'eventuale colpo. Ovviamente c'era lo stratega del gruppo che valutava e studiava tutto sui colpi da mettere a segno: sulla possibile consistenza della refurtiva, studiava la fattibilità del colpo, esaminava il momento tempisticamente più opportuno per metterlo a segno con calma o sull'occasione da cogliere al volo, sulle varie vie di accesso e relative vie di fuga, creava almeno un paio di alternative, nonché l'alibi più credibile da millantare in caso malaugurato di intervento delle forze dell'ordine. Nella banda classicamente esisteva il "palo", elemento dotato di notevole sensibilità sia uditiva che visiva, possedeva ottime capacità di osservazione e forte intuito, a lui era affidato il compito delicato di tenere sotto controllo tutto il territorio adiacente la sede del colpaccio per tutta la durata del medesimo, di avvertire in maniera convenzionale i complici al lavoro non appena notava qualche negatività nei paraggi. Nel gruppo c'era anche lo specialista in grado di scardinare qualsiasi firmatura, chi sapeva abbattere con particolare cura porte e finestre, chi con precisione geometrica era in grado di praticare e quanto più silenziosamente possibile nei muri brecce personalizzate in modo che permettessero il passaggio del soggetto più smilzo della compagnia, che in genere era anche il più dotato di capacità acrobatiche tali da consentirgli di scalare mura lisci. Costituivano una vera e propria orchestra all'interno della quale esistevano i singoli solisti con le proprie particolari specialità. Quando suonavano tutti insieme ottenevano una corale armonia: in definitiva si limitavano a procurare il minimo danno alle strutture e a ricavare il massimo rendimento dal colpo.

I colpi si facevano sempre più frequenti, sostanziosi e audaci. Avevano rubato al tabacchino della signora Aurelia Catalano, entrarono nel locale facendo saltare una finestrella situata nella scalidda che conduce da via Giovanni Verga alla piazzetta di Sant'Agata. Avevano rubato in diverse abitazioni, tra queste anche in casa di zio Peppino Guzzardi mentre i padroni di casa erano in piazza per presenziare a un comizio di Matteo Agosta. Fortunatamente zio Peppino, forte sensitivo, ebbe un presentimento e tornò a casa prima della fine del comizio evitando così che gli svaligiassero del tutto la casa ed in tal modo rimasero inviolati i nascondigli dei gioielli.

Grande scalpore e clamore, sia per l'arditezza della tattica messa in atto, che per la consistenza della refurtiva, destò il furto nella gioielleria di don Ciccio Interlandi di via Vittorio Emanuele. In realtà quello era un negozio ben messo, oltre a gioielli, vendeva pregevoli orologi di marca, articoli da regalo, profumi ed era anche una rinomata armeria. La merce che esponeva era ottima ed abbondante nonché allettante per i malintenzionati, possedeva persino una bilancia di precisione con la quale don Ciccio pesava le cose preziose.
La sera tutto ciò che di prezioso rimaneva in giro per il negozio veniva messo in cassaforte dal figlio Carlo, il quale tuttavia non era costante e diligente in questa attività, preso come era spesso da impegni da scapolone.

Don Ciccio era una gradevole persona, aveva la sua spettabile ed affezionata clientela, fra questi c'era anche mio padre e ogniqualvolta lo vedeva non poteva fare a meno di salutarlo con una battuta e don Ciccio rispondeva educatamente per le rime proponendo tempestivamente qualcosa di interessante da fargli vedere. Mio padre era appassionato di orologi di qualità e don Ciccio non appena se ne presentava l'occasione lo tentava:" «mhii cavalieri m'arruvau un Longines ca è 'na meraviglia» e prontamente ne apriva la cassa in modo da farne ammirare la meccanica. Mio padre rimaneva incantato e gli ripeteva: «mincia Cicciu troppu bellu, ma ri sti tiempi siemmu paccariati!». Al che don Ciccio educatamente non insisteva, ma rimaneva ugualmente onorato di cotanto apprezzamento.

Per i ladri raggiungere dall'esterno quella gioielleria ricca di merce preziosa era pressoché impossibile, don Ciccio con grande attenzione aveva creato una ottima protezione con catenacci e firmature di qualità. Considerando in pratica la blindatura e quindi la inattaccabilità dall'esterno, non rimaneva che raggiungerla dall'interno. Come fare? I malviventi studiarono il piano: la potevano raggiungere solamente dalle fogne, che come quelle di Parigi erano talmente alte, da consentire il passaggio di una persona all'impiedi o comunque rannicchiata. Fu simulata l'azione. Prima fecero il percorso di notte dall'esterno e in ogni tombino che incontravano infilavano un segnale di repere, successivamente fecero il percorso dall'interno, si infilarono nelle fogne da dove sboccavano, dalla zona detta do ritu, camminarono lungo il percorso segnalato precedentemente dall'esterno, arrivarono nella zona della scalinata che porta al cunnuttu. Con la piccozza fecero piccoli sondaggi sulla volta che li sovrastava, tutti questi sondaggi servivano per crearsi dei punti di riferimento, dai oggi e dai domani riuscirono ad individuare il punto da dove dovevano scassare per arrivare alla bottega di don Ciccio. Gli abitanti della zona sentivano strani rumori nella notte e un altrettanto strano fetore di fogna di giorno, ma non diedero grande rilevanza alla cosa.

Una notte dopo aver percorso l'ormai noto tragitto nelle fogne, con grande precisione scassarono nel punto giusto ed emersero all'interno della bottega di don Ciccio, mihi c'era il ben di Dio anche perché malauguratamente quella sera il figlio Carlo, tutto preso da altri impegni, non aveva riposto in cassaforte la merce di valore rimasta in giro.
Ai ladri non sembrava vero, arraffarono quanto più possibile, per praticità lo avvolsero in ciò che avevano a portata di mano, compreso in nuova biancheria e per giunta di marca.
La sorpresa l' indomani mattino fu enorme, il chiacchiericcio fu estremamente fantasioso in tutto il paese non abituato a vivere queste trame da film, don Ciccio non poteva credere ai propri occhi, al danno ed alla beffa che aveva subìto. Si attivarono i CC per le rituali, ma lente, indagini. Don Ciccio si attivò immediatamente per conto proprio a contattare chi potesse dargli notizie confidenziali su quanto accaduto, sulle persone in causa e soprattutto che direzione avesse preso il malloppo e come poteva recuperarlo.

La gente era fortemente in allerta, con grande attenzione e le antenne dell'intuito tese osservava quello che accadeva intorno, particolarmente sotto osservazione erano i comportamenti delle persone con un passato non limpido. Per esempio qualcuno osservò al balcone di una modesta casa abitata da gente altrettanto modesta stesi ad asciugare numerose paia di slip di ottima fattura, la meraviglia era sia per il numero degli slip, non abitando in quella casa tanti uomini, ma soprattutto che fossero stesi slip di una qualità che quella famiglia non poteva permettersi. Simili notizie giravano vorticosamente tra la gente del paese e con grande curiosità. In realtà tutte quelle paia di slip erano stati rubati nel negozio di don Ciccio per avvolgere parte della refurtiva.
Gli individui sospettati del furto erano spiati e pedinati nelle loro attività quotidiane dai carabinieri i quali così scoprirono di un imminente incontro della combriccola a Catania per piazzare tutta quella merce preziosa: il bottino era talmente rilevante e di notevole valore che non trovarono facilmente un ricettatore che potesse incamerare e piazzare tutta quella merce preziosa senza destare sospetti. Allora decisero in maniera più pratica, togliendosi un gran peso di dosso, di impegnare tutta la refurtiva al monte dei pegni che si trova tutt'ora in via Sant'Euplio a Catania, dividersi i soldi e disperdersi ognuno per la propria strada.
E qui cadde l'asino: avevano impegnato la refurtiva al banco dei pegni, presi i soldi se li dovevano spartire nella vicina villa Bellini, seduti comodamente su una panchina si facevano i conti come dividere equamente il ricavato e qui per la seconda volta cadde l'asino: tra gaglioffi c'era chi voleva scarafuniare e stavano discutendo animatamente su chi meritava di più e chi di meno a seconda dell'importanza dell'azione svolta. Nel contempo erano osservati in maniera apparentemente casuale dai CC tempestivamente allertati. Da qui ad ammanettarli e portarli in galera il passo fu breve. Si imbastì regolare processo, le condanne furono esemplari e pesanti, talmente pesanti che uno dei condannati, alla lettura della pena da parte della Corte, fu colto da una sincope e cadde per terra in aula come colto da morte improvvisa. Non morì nessuno, i condannati scontarono la pesante pena. Per rendeverne conto entrarono in carcere quando ancora si girava in bicicletta e uscirono quando lo Sputnik girava attorno alla terra già da tempo.
Quando uscirono dal carcere la gran parte dei compaesani fece finta di non riconoscerli per mostrare di non avere niente a che fare con loro, ma come sempre, ci fu una masnada di lecchini, fortunatamente poco nutrita, che si atteggiavano ad amiconi e compagnoni come se nulla fosse accaduto pur di accattivarsi la loro benevolenza in modo che come nella favola da rospi potessero essere trasformati in prìncipi e consideravano come dei Robin Hood che avevano tolto ai più ricchi per dare ai più poveri gli autori del colpaccio.

P.s.: mille ringraziamenti alle sorelle Clara e Liliana Interlandi per la gradevole disponibilità e l'aiuto che mi hanno dato nel ricostruire l'episodio.

Caramente,
vostro doctor
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01/02/2012 | 5178 letture | 0 commenti
di doctor
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