I racconti di Doctor
Il 12-13 aprile 1964: anniversario di una tragedia
Era il mese di aprile ed era piovuto come mai per quel mese. La notte nella mia
stanza sentivo il rumore del fiume grande in piena e nel profondo silenzio della
notte la cosa mi turbava in quanto era un evento inconsueto, infatti era la prima
volta in vita mia che sentivo da così lontano il fiume in piena. Pioveva
giorno e notte, a scuola ci andavamo forniti di mantella cerata , calosce e ombrello;
al ritorno a casa lasciavamo stesi sulla ringhiera delle scale ad asciugarsi
l'ombrello e la mantella gocciolanti abbondantemente acqua.
Quando pioveva così tanto c'era sotto il vento di levante, e la livantata, portatrice di pioggia, in genere durava non meno di tre giorni e tre notti. Lo sapevano gli antichi che spesso rivestivano la parete di levante delle case con tegole montate al contrario per proteggere la stessa e far scivolare così l'acqua sbattuta dal vento senza che le mura si inzuppassero.
Un mattino improvvisamente si sparse la notizia nella piazza del paese che un pastore la sera non aveva fatto ritorno a casa e forse era stato travolto dalla furia delle acque: familiari ed amici si erano messi alla ricerca almeno di qualche traccia.
Via via le notizie venivano perfezionate: si seppe che il pastore era il signor Vito Gennaro di anni 64, padre di diversi figli, uno dei quali era stato mio compagno di classe alle scuole elementari. Il Gennaro padre era un curatolo: allevava capre, vendeva il latte a domicilio dapprima portandosi appresso le capre e mungendole sulla soglia d'ingresso delle case degli acquirenti, successivamente, quando fu vietato che le capre girassero per il paese, si portava appresso i contenitori del latte.
Gennaro aveva un vizietto, come si dice a Napoli era un "gran capatosta": ogniqualvolta che se ne presentava l'occasione fregava l'acquirente con l'aggiunta di acqua nel latte. Rispetto alle fregature, anche pericolose, che ci becchiamo oggi, cosa vuoi che sia annacquare il latte come faceva Gennaro allora! Uno dei suoi figli, Peppi, si era ulteriormente perfezionato in questa arte di prestidigitazione da alchimista. Essendo per questo elemento sospetto, un freddo mattino d'inverno fu fermato dai vigili urbani Guzzardi e De Petro per accertamenti sulle qualità organolettiche del latte in vendita. Posto in mezzo tra i due tutori dell'ordine che facevano un figurone, lui, poveretto, con la bottiglia di latte nella mano destra e la sacchina sulla spalla sinistra, sapeva di non essere in regola, avendo già annacquato il latte, obiettivamente era in una cattiva posizione. Giurava e spergiurava di essere un lavoratore onesto che si procurava da vivere vendendo onestamente latte. Nel frattempo si era radunata in piazza sotto l'archivio, come in una platea improvvisata, una discreta folla che equamente si era divisa in due parteggiando chi per Gennaro - «mincia è troppu spiertu, ora sa chi cummina!» - altri per i vigili urbani - «cazzu accussì sù di esempiu e finisci stu' burdellu!» -.
Peppi ebbe un colpo di genio: mentre saliva le scale, continuando a giurare e a spergiurare, fece finta di inciampare di brutto, cadde lui, cadde la bottiglia di vetro, si ruppe il vetro ed il latte si versò per le scale in mille rivoli. La esclamazione della folla fu univoca: «mincia, i futtiu!», in parte esclamata con giubilo da coloro che tifavano per Peppi e in parte esclamata con delusione e stizza da coloro che tifavano per i tutori dell'ordine. La rabbia delle due guardie municipali che osservavano impotenti il latte versato, sicuramente annacquato, che si espandeva sinuosamente e lentamente, ma implacabilmente per le scale, era pari alla finta meraviglia che mostravano gli occhi di Peppi per l'incredibile e spiacevole incidente verificatosi.
Riprendiamo la storia di Gennaro padre. Normalmente Gennaro padre tutti i giorni andava a pascolare il proprio gregge, incorrendo spesso, ma involontariamente diceva lui, nel reato di pascolo abusivo. Lo accompagnava e lo aiutava un piccolo garzone, cosa non insolita allora: ragazzini se non ne mangiavano di studio e se la famiglia non era in grado di mantenerli venivano mandati a lavorare. Per i ragazzini uno dei lavori più pesanti ed impegnativi era quello di fare i garzoni dei pastori, gente facilmente irascibile, duri e decisi come carattere essendo abituati a capire e farsi capire dagli animali, anche con la forza. Il tutto per qualche pezzo di tumazzo e qualche sacchina di fave.
A causa di quelle maledette ed impreviste giornata di pioggia le capre non potevano uscire a pascolare, avevano esaurito eventuali riserve e non avevano più nulla da mangiare. È noto che se le capre non mangiano non producono latte, di conseguenza Gennaro non avrebbe avuto più guadagni. Figurarsi se allora ci poteva consentire questi lussi. Sarebbe morto di fame anche lui! Gennaro non si scoraggiò, in preda al coraggio della disperazione 'mpaiò la scecca, come aiutante si portò uno dei suoi figli, si fornì di ampio paracqua e di capienti bisacce e partì per raccogliere erba per le sue capre. Si diresse verso la contrada del Carmine si addentrò purtroppo in un posto dove quando piove si raccolgono incrociandosi tutte le acque provenienti dalla zona nord e dalla zona ovest del paese, si forma così un vorticoso torrente. Gennaro doveva attraversare il torrente in piena, confidava nella propria abilità e nell'istinto di conservazione della scecca che avrebbe superato tutte le difficoltà pur di conservare la pelle. La scecca si rese conto del pericolo e non voleva andare avanti, Gennaro no. Tanto la pungolò e urlò che scecca gli ubbidì. Ma purtroppo la furia delle acque li travolse e annegarono Gennaro, il figlio e la scecca.I cadaveri furono trascinati a valle dalle acque del torrente e non furono ritrovati facilmente. Il dispiacere si diffuse per tutto il paese. Arrivarono anche i sommozzatori dei vigili del fuoco che scandagliarono le acque della diga sul fiume Dirillo, solo alcuni giorni ritrovarono i cadaveri. Si favoleggiò sui macabri particolari: un cadavere era rimasto impigliato fra i rami di un albero sommerso dall'acqua, una scarpa galleggiava con all'interno la pelle attaccata di un cadavere, e via discorrendo.
Caramente,
vostro doctor
Quando pioveva così tanto c'era sotto il vento di levante, e la livantata, portatrice di pioggia, in genere durava non meno di tre giorni e tre notti. Lo sapevano gli antichi che spesso rivestivano la parete di levante delle case con tegole montate al contrario per proteggere la stessa e far scivolare così l'acqua sbattuta dal vento senza che le mura si inzuppassero.
Un mattino improvvisamente si sparse la notizia nella piazza del paese che un pastore la sera non aveva fatto ritorno a casa e forse era stato travolto dalla furia delle acque: familiari ed amici si erano messi alla ricerca almeno di qualche traccia.
Via via le notizie venivano perfezionate: si seppe che il pastore era il signor Vito Gennaro di anni 64, padre di diversi figli, uno dei quali era stato mio compagno di classe alle scuole elementari. Il Gennaro padre era un curatolo: allevava capre, vendeva il latte a domicilio dapprima portandosi appresso le capre e mungendole sulla soglia d'ingresso delle case degli acquirenti, successivamente, quando fu vietato che le capre girassero per il paese, si portava appresso i contenitori del latte.
Gennaro aveva un vizietto, come si dice a Napoli era un "gran capatosta": ogniqualvolta che se ne presentava l'occasione fregava l'acquirente con l'aggiunta di acqua nel latte. Rispetto alle fregature, anche pericolose, che ci becchiamo oggi, cosa vuoi che sia annacquare il latte come faceva Gennaro allora! Uno dei suoi figli, Peppi, si era ulteriormente perfezionato in questa arte di prestidigitazione da alchimista. Essendo per questo elemento sospetto, un freddo mattino d'inverno fu fermato dai vigili urbani Guzzardi e De Petro per accertamenti sulle qualità organolettiche del latte in vendita. Posto in mezzo tra i due tutori dell'ordine che facevano un figurone, lui, poveretto, con la bottiglia di latte nella mano destra e la sacchina sulla spalla sinistra, sapeva di non essere in regola, avendo già annacquato il latte, obiettivamente era in una cattiva posizione. Giurava e spergiurava di essere un lavoratore onesto che si procurava da vivere vendendo onestamente latte. Nel frattempo si era radunata in piazza sotto l'archivio, come in una platea improvvisata, una discreta folla che equamente si era divisa in due parteggiando chi per Gennaro - «mincia è troppu spiertu, ora sa chi cummina!» - altri per i vigili urbani - «cazzu accussì sù di esempiu e finisci stu' burdellu!» -.
Peppi ebbe un colpo di genio: mentre saliva le scale, continuando a giurare e a spergiurare, fece finta di inciampare di brutto, cadde lui, cadde la bottiglia di vetro, si ruppe il vetro ed il latte si versò per le scale in mille rivoli. La esclamazione della folla fu univoca: «mincia, i futtiu!», in parte esclamata con giubilo da coloro che tifavano per Peppi e in parte esclamata con delusione e stizza da coloro che tifavano per i tutori dell'ordine. La rabbia delle due guardie municipali che osservavano impotenti il latte versato, sicuramente annacquato, che si espandeva sinuosamente e lentamente, ma implacabilmente per le scale, era pari alla finta meraviglia che mostravano gli occhi di Peppi per l'incredibile e spiacevole incidente verificatosi.
Riprendiamo la storia di Gennaro padre. Normalmente Gennaro padre tutti i giorni andava a pascolare il proprio gregge, incorrendo spesso, ma involontariamente diceva lui, nel reato di pascolo abusivo. Lo accompagnava e lo aiutava un piccolo garzone, cosa non insolita allora: ragazzini se non ne mangiavano di studio e se la famiglia non era in grado di mantenerli venivano mandati a lavorare. Per i ragazzini uno dei lavori più pesanti ed impegnativi era quello di fare i garzoni dei pastori, gente facilmente irascibile, duri e decisi come carattere essendo abituati a capire e farsi capire dagli animali, anche con la forza. Il tutto per qualche pezzo di tumazzo e qualche sacchina di fave.
A causa di quelle maledette ed impreviste giornata di pioggia le capre non potevano uscire a pascolare, avevano esaurito eventuali riserve e non avevano più nulla da mangiare. È noto che se le capre non mangiano non producono latte, di conseguenza Gennaro non avrebbe avuto più guadagni. Figurarsi se allora ci poteva consentire questi lussi. Sarebbe morto di fame anche lui! Gennaro non si scoraggiò, in preda al coraggio della disperazione 'mpaiò la scecca, come aiutante si portò uno dei suoi figli, si fornì di ampio paracqua e di capienti bisacce e partì per raccogliere erba per le sue capre. Si diresse verso la contrada del Carmine si addentrò purtroppo in un posto dove quando piove si raccolgono incrociandosi tutte le acque provenienti dalla zona nord e dalla zona ovest del paese, si forma così un vorticoso torrente. Gennaro doveva attraversare il torrente in piena, confidava nella propria abilità e nell'istinto di conservazione della scecca che avrebbe superato tutte le difficoltà pur di conservare la pelle. La scecca si rese conto del pericolo e non voleva andare avanti, Gennaro no. Tanto la pungolò e urlò che scecca gli ubbidì. Ma purtroppo la furia delle acque li travolse e annegarono Gennaro, il figlio e la scecca.I cadaveri furono trascinati a valle dalle acque del torrente e non furono ritrovati facilmente. Il dispiacere si diffuse per tutto il paese. Arrivarono anche i sommozzatori dei vigili del fuoco che scandagliarono le acque della diga sul fiume Dirillo, solo alcuni giorni ritrovarono i cadaveri. Si favoleggiò sui macabri particolari: un cadavere era rimasto impigliato fra i rami di un albero sommerso dall'acqua, una scarpa galleggiava con all'interno la pelle attaccata di un cadavere, e via discorrendo.
Caramente,
vostro doctor
10/04/2008 | 4925 letture | 0 commenti
di doctor
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