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Economia
Papa Francesco, l'economia e la crisi
L'anno 2000 rappresenta senz'altro uno spartiacque nella storia. Il mondo è passato da un periodo di relativo ordine - in cui le grandi potenze vivevano un clima di distensione e alcuni Paesi in via di sviluppo andavano emergendo economicamente - a un periodo di disordine, in cui si è consolidato un liberismo senza regole, si è rafforzato il potere del capitalismo industriale e finanziario e si è indebolito il potere dello Stato. Sembrava che tutto doveva procedere senza grossi traumi e che i problemi potevano essere affrontati con le strategie politiche ed economiche seguite precedentemente. Ma l'esplosione di ciò che covava sotto la cenere da decenni in diversi ambiti ha cambiato il mondo. L'attentato alle Torri Gemelle nel 2001 è stato il primo di una serie di avvenimenti: la guerra in Iraq e in Afghanistan, le tensioni sociali e politiche in molti Paesi, la domanda di asilo di migliaia di immigrati, la domanda di democrazia in alcuni Paesi dove ancora vige un regime autoritario, la domanda di giustizia e l'attenzione alla povertà materiale, l'emergere di nuove povertà nei Paesi ricchi e, per completare l'increscioso quadro, l'arrivo nel 2008 della crisi economica, con il conseguente aumento della disoccupazione, e nel 2010 la crisi del debito pubblico in molti paesi europei e la conseguente politica di spending review.

La lettura di questa realtà porta a chiederci se i sistemi politici, economici e sociali dominanti siano capaci di dare risposte a domande eterogenee in un mondo ormai globalizzato, che sta cambiando e continuerà a cambiare le regole e la configurazione dell'economia e della società. La difficoltà ad uscire dalla crisi dopo cinque anni e il fallimento del welfare state dimostrano che questa crisi non è la fase discendente degli usuali cicli economici, e che la tentazione al ricorso a conflitti bellici rischia di annullare la tanto dichiarata pace mondiale. Ci si rende conto che manca qualcosa per disinnescare il meccanismo che sta rendendo, da un lato, ingestibile la crisi economica e sociale e, dall'altro, difficoltosa la prospettiva di una convivenza armoniosa tra i popoli e la costruzione di un nuovo ordine economico e sociale sostenibile.

Questa realtà fa paura a tutti, e tutti cercano disperatamente una soluzione. La percezione è che, in un clima così instabile e incerto, l'affannosa ricerca di soluzioni attraverso diverse riforme e politiche di austerità, seppure necessarie in questo contesto, sia un rimedio-tampone per esorcizzare la consapevolezza che i problemi, e il tempo, ci sfuggono dalle mani. Forse è giunto il momento di fermarsi un attimo e utilizzare il tempo per fare una seria analisi della realtà e un'utile riflessione su diversi campi e diversi argomenti, per poter dare delle risposte alle domande dei cittadini, che non sono solo domande di beni materiali ma anche di beni immateriali: giustizia, legalità, solidarietà, relazionalità; cioè quei beni che fanno dell'individuo non solo un cittadino, ma soprattutto una persona.

Si sa, è un dato di fatto che giustizia e ingiustizia, solidarietà ed egoismo, verità e falsità, amore e odio fanno parte dell'uomo da quando è apparso sulla terra, ma mentre prima la forbice tra ciò che era bene e ciò che era male era tale da non destare gravi e insormontabili squilibri sociali, oggi è andata ampiamente allargandosi, creando notevoli tensioni, destando molta attenzione e dando origine ad una nuova domanda: la domanda di fiducia e di credibilità nelle istituzioni, ma soprattutto nelle persone che le compongono e nei valori di cui sono portatori. In altri termini domanda di cambiamento culturale.

Mutuando uno dei presupposti della teoria economica keynesiana secondo il quale è la domanda che crea l'offerta per condurre all'equilibrio, possiamo dire che oggi l'offerta politica non risponde alla domanda di cambiamento e, siamo certi, non tanto per mancanza di volontà quanto per incapacità di guardare i segni dei tempi per saper interpretare le istanze e individuare la fonte ispiratrice che permetta di uscire dal tunnel in cui l'economia e la società si sono cacciate. Seneca ci ricorda che "non c'è vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare". Dare risposte alle istanze significa pertanto avere un riferimento forte per individuare la meta da raggiungere, che presuppone la consapevolezza che stiamo vivendo un momento storico in cui il futuro è tutto da delineare ed esige una coraggiosa svolta per cambiare pagina.

Si dice che la storia è maestra di vita. Nel corso della storia, i grandi cambiamenti sono stati avviati da persone che non erano né necessariamente economisti nè avevano qualità particolari, ma erano dotati certamente di alti ideali da raggiungere, ponendo alla base delle decisioni i valori fondanti della democrazia, della civile convivenza e della pace. Ricordiamo il tedesco Konrad Adenawer, il francese Robert Schuman e l'italiano Alcide De Gasperi, che diedero vita all'Europa non per creare un'area economica (che si è sviluppata successivamente) ma un'area che assicurasse la pace tra i paesi europei dopo l'esperienza della seconda guerra mondiale. Ricordiamo che le leggi-guida dello Stato sono state scritte dalle energie più nobili, che ci hanno lasciato una Costituzione degna di essere esaltata e considerata, come è stata definita, "la più bella del mondo". Ricordiamo Mohandas Gandhi, che ha conquistato il grande ideale dell'indipendenza politica ed economica dell'India nel 1947 con le nobili doti della pazienza e della non violenza. Ricordiamo Nelson Mandela, che ha dedicato tutta la sua vita per combattere la corruzione, il razzismo e la povertà. Ricordiamo Martin Luther King, attivista per i diritti civili e Premio Nobel per la pace nel 1964. Ricordiamo Michail Gorbaciov, il cui contributo per la fine della guerra fredda gli è valso il premio Nobel per la pace nel 1990. Sicuramente, oltre ai grandi personaggi mondiali, esistono tante altre figure, in Italia e nel mondo, conosciute o meno, che del raggiungimento dei loro alti ideali ne hanno fatto una ragione di vita.

Il raggiungimento di alti ideali sembra che oggi sia l'ingrediente che manca per risolvere i problemi che la storia degli ultimi decenni ha messo sul tappeto. L'avidità ha fatto del potere, del profitto e del consumo gli effimeri ideali da raggiungere, creando un vuoto di protagonismo capace di incarnare alti valori. Valori che, non essendo beni materiali, non sono andati distrutti, sono stati solo lasciati in disparte; pertanto i valori esistono, bisogna solo riappropriarsene. Molti ce lo ricordano, e ce lo ricorda spesso il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con l'esortazione che ribadisce in più occasioni: "ci vuole uno scatto morale e ideale". Ma è un'esortazione che pare non abbia avuto molto riscontro.

Un maggiore riscontro si avverte invece dalle esortazioni, dalle parole, ma soprattutto dall' esempio e dallo stile di vita di un personaggio che la storia della Chiesa ci ha consegnato in questo particolare momento storico: Papa Francesco. Non c'è una persona, credente o atea, che non sia stata conquistata immediatamente dal suo particolare carisma, che non deriva certo dalla sua bellezza (a qualcuno è sembrato un armadio bloccato quando si è affacciato la prima volta sulla loggia centrale di San Pietro il 13 marzo scorso) o dalla sua gioventù (ha 77 anni) o dalla sua ricchezza (non possiede nulla). Papa Jorge Mario Bergoglio continua a conquistare ed a suscitare rispetto e credibilità in ogni parte del mondo perché crede, vive e trasmette ciò di cui le persone hanno bisogno in una società mercificata: semplicità, umiltà, attenzione per gli ultimi, ma soprattutto somatizzazione dei problemi degli altri ed elevazione del rapporto umano nel quale l'altro acquista la sua inviolabile dignità. Ma anche per il suo sorriso gioioso, che non è di circostanza ma è autentica espressione della sua partecipazione.

Siamo certi che le sue parole e i suoi gesti sono destinati a rimanere nella storia e che il suo contributo all'atteso cambiamento culturale, e quindi economico, sarà determinante, sebbene non nell'immediato per il fisiologico tempo di metabolizzazione. Il suo spontaneo e ordinario stile di vita è una scuola di testimonianza intrisa di cambiamento, che vuole ricordarci che di fronte all'avidità e alle disparità economiche e sociali, ciò che emerge in tutta la sua drammaticità è l'eclissi del riconoscimento della dignità della persona. Vuole ricordarci che orientare qualsiasi azione verso la dignità della persona è il più alto ideale che si possa raggiungere. Sembra un ideale astratto, invisibile, ma capace di avere conseguenze inimmaginabili sull'economia e sulla società, e sulla stessa democrazia. Puntate sugli alti ideali, non fatevi rubare la speranza sono le frasi che il Papa ripete spesso ai giovani, volendo sottolineare che guardare in alto significa dare valore alle piccole cose e che esiste la possibilità di uscire dalla crisi, di eliminare i conflitti, solo se c'è la speranza di costruire un mondo migliore basato sulla cultura del dialogo, della trasparenza, della legalità, della giustizia, della solidarietà e dell'abbattimento delle barriere culturali, partendo dai poveri, dagli emarginati e dalle periferie non solo geografiche ma anche esistenziali. Le sollecitazioni del Papa hanno lo scopo di infondere coraggio, ma sono anche uno stimolo ad andare oltre il coraggio per diventare una sfida quando dice non abbiate paura di andare controcorrente. È senz'altro un messaggio profetico e rivoluzionario contro la dominante cultura dell'egoismo, dell'indifferenza, dell'esteriorità e del vuoto protagonismo, a favore della cultura del dialogo, dell'incontro, dell'essenzialità, della solidarietà e di un protagonismo che dia senso ai comportamenti. Il Papa non propone certo una ideologia ma una coraggiosa capacità di scelta, personale e collettiva, che possa diventare un modo di vivere.

Non è necessario dilungarsi oltre sulle omelie e sui messaggi del Papa, che ormai sono noti a tutti, ma ciò che ci preme sottolineare è che Papa Francesco è già considerato un vento nuovo per la Chiesa e per il mondo e sembra la figura di riferimento che molti si aspettavano e che considerano probabilmente la fonte a cui attingere per comprendere la realtà e gli innumerevoli problemi di questo momento storico caratterizzato da forti incertezze e rapidi mutamenti.

Anche se ancora molto limitato e timido, l'effetto contagio di questa figura semplice ma determinata non si è fatto attendere: basta citare che, di fronte al suo esempio di sobrietà per liberarsi dagli sprechi, alcuni politici sono andati "qualche volta" in Parlamento con la propria macchina, o in bicicletta, o a piedi; oppure, dopo la sua visita a Lampedusa, il fenomeno immigrazione si è trasformato da dramma in accoglienza, sia da parte degli abitanti dell'isola, che hanno ricevuto il ringraziamento del presidente Giorgio Napolitano, sia da parte dell'opinione pubblica, che comincia a vedere gli immigrati col volto umano, sia da parte dei mass media, che danno più spazio alle tragedie del mare. L'effetto contagio è molto significativo soprattutto a livello politico. Infatti, con più determinatezza si comincia a considerare l'immigrato non più un clandestino ma un richiedente asilo. Come pure l'impensabile ammissione di responsabilità nei confronti dei flussi di immigrazione da parte dei politici, così come ha fatto il presidente della Camera Laura Boldrini dicendo "siamo tutti responsabili, consciamente o inconsciamente". O come l'ennesima tragedia del 3 ottobre scorso, con centinaia di morti, abbia sensibilizzato in maniera inedita la classe politica, tanto che il 4 ottobre è stato dichiarato lutto nazionale, la Camera dei deputati si è riunita per affrontare il problema, diversi politici, italiani ed europei, si sono recati a Lampedusa per far sentire la presenza delle istituzioni, sono state sospese alcune riunioni di partito per rendere omaggio alle vittime, il sindaco di Roma Ignazio Marino si è offerto di dare degna sepoltura alle vittime nella capitale e l'UE comincia a prendere in considerazione l'idea di una Direttiva sull'integrazione. Sembra l'inizio del passaggio da una politica del respingimento (legge Bossi-Fini) ad una politica non solo dell'accoglienza ma anche dell'umanità. Ricordiamo inoltre che, di fronte ad un possibile attacco militare in Siria, proposta dal presidente americano Barack Obama, l'invito del Papa a partecipare alla veglia di preghiera per la pace, che si è svolta il 7 settembre scorso, è stato accolto in tutto il mondo con tanta voglia di partecipazione, ma molto rilevante è stata l'adesione di molti politici, tra cui quella dichiarata senza esitazione dai ministri della Difesa Mario Mauro e degli Esteri Emma Bonino; o l'accensione della lampada al santuario di Loreto da parte del presidente del Senato Pietro Grasso.

In un contesto in cui la crisi ha portato alla luce gli innumerevoli casi di corruzione, illegalità e ingiustizia, non si può fare a meno di ricordare il momento di cambiamento epocale avvenuto nell'ex URSS, quando l'inimmaginabile passaggio dal vecchio regime al nuovo, iniziato con la perestroika e la glasnost negli anni Ottanta, mise in evidenza le illegalità e l'inattendibilità delle informazioni ufficiali che rendevano problematico il cambiamento. Michail Gorbaciov, sostenitore dei processi di riforma e di pace, conscio che la fonte del rinnovamento andava ricercata altrove, rese significativa la sua richiesta di aiuto non ai politici o alle organizzazioni internazionali ma, pur essendo ateo, al cristianesimo, e la sua famosa visita a Papa Giovanni Paolo II era finalizzata alla richiesta di un suo contributo per la ricostruzione della giustizia e dell'onestà nel suo Paese. Oggi la Russia è uno dei Paesi cosiddetti BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa), che registra una crescita economica, nonostante la crisi, e il presidente Vladimir Putin si è dichiarato non favorevole alla guerra in Siria, privilegiando il dialogo, consapevole degli effetti devastanti per la popolazione civile e di eventuali ritorsioni.

Di fronte agli inestricabili problemi che assillano la società odierna, sia di natura economica che sociale, politica e culturale, tale ricordo può essere motivo di riflessione per non trascurare il binomio fede-economia. Può sembrare un accostamento inconcepibile in quanto la fede richiama l'aspetto religioso dell'individuo mentre l'economia si riferisce all'aspetto pragmatico e materiale. Ma i due aspetti possono non essere separati se si considera la fede non tanto come appartenenza religiosa, che riguarda, appunto, l'intimo di ognuno, ma come ispiratrice di apertura all'umiltà, alla collaborazione e alla solidarietà, e se, al di là delle motivazioni religiose, si riconosce comunque che la vita dell'uomo ha una parte esteriore e una parte interiore, spirituale ed emotiva - come ci ricorda il pensiero filosofico greco di Socrate - e che vi sono valori universali e diritti fondamentali ampiamente condivisi dalla nostra cultura che fanno parte dell'umano, e che la fede vuole solo ricordarci di nutrire e tenere vivi. Se poi nella vita, sia civile che politica, si interseca un vissuto quotidiano con i principi della Dottrina sociale della Chiesa, i comportamenti, invece di essere forzati o pilotati, avranno una marcia in più per orientarsi verso una dimensione più spontanea di responsabilità e di senso. Ci portano oltre questa dimensione le frasi di Anatole France "io non ho fede, ma vorrei averla: considero la fede il più prezioso bene di cui si possa godere in questo mondo" e di Papa Giovanni Paolo II "…la fede non sottrae il credente alla storia, ma lo immerge più profondamente in essa". E nella storia sono stati tanti i protagonisti di matrice cristiana, che hanno saputo esprimere la parte più nobile dell'essere umano e, ricoprendo cariche pubbliche, hanno lasciato dei segni indelebili del loro contributo. Ne citiamo solo alcuni. Vittorio Bachelet, ucciso dalle BR il 12 febbraio 1980, che, laico, ma con una spiritualità solida, diede un notevole contributo alla ricostruzione postbellica, rifiutando compromessi e difendendo la democrazia e i diritti dei più deboli. La sua vita pubblica si divise tra la presidenza dell'Azione cattolica, l'insegnamento di Diritto pubblico dell'economia all'Università "La Sapienza" di Roma e gli incarichi istituzionali di consigliere comunale e vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura. Di formazione cristiana è stato anche Alcide De Gasperi, che sottolineava l'importanza della maturità spirituale nella vita pubblica. Importante anche la figura di Giuseppe Toniolo, docente di Economia, che, di fronte alla crescita economica all'inizio del Novecento, riconosceva i vantaggi del capitalismo, ma riconosceva anche i suoi effetti negativi dal punto di vista economico (la speculazione), dal punto di vista sociale (la Belle èpoque) e dal punto di vista etico. I suoi discorsi ruotavano tutti attorno alla validità del capitalismo solo se retto da un'etica cristiana, capace di coniugare efficienza economica e giustizia sociale. La sua figura e la sua formazione hanno ispirato Domenico Sorrentino a scrivere un libro dal titolo "Giuseppe Toniolo. L'economista di Dio". Ed è una significativa coincidenza se Giuseppe Toniolo è stato beatificato il 29 aprile 2012 in piena crisi economica.

Papa Francesco, partendo dalla fede e dall'aspetto spirituale, qual'è il compito del suo magistero, finisce poi per riferirsi con molta fermezza ai comportamenti umani e alla sfera sociale. Coniugando la parola del Vangelo con la vita quotidiana il Pontefice sta avendo la capacità di far prendere coscienza del paradosso che, da un lato, nella propria interiorità si ha sete di spiritualità e, dall'altro, nella realtà, e soprattutto in politica, i comportamenti esulano quasi del tutto da questa esigenza. Solo nei momenti di estrema difficoltà, quando a livello personale i problemi ci angosciano e a livello sociale ed economico i problemi non trovano soluzione, ci si ricorda che l'umano ha i suoi limiti e le sue fragilità e che ha bisogno di attingere dall'aspetto spirituale, e allora la fede diventa un pilastro su cui appoggiarsi. È tutto dire che nel 2009, all'inizio della crisi economica, l'allora ministro dell'economia Giulio Tremonti, rendendosi consapevole che era l'esordio di una fase ingestibile per l'esistenza di tanti scheletri nell'armadio, abbia affermato che l'economia non è tutto e che in questo momento di crisi prima di leggere un libro di economia si dovrebbe leggere la Bibbia. Che l'economia non sia tutto ci riporta alla celebre frase che Bob Kennedy pronunciò nel 1968 all'Università del Kansas: "Il PIL non comprende l'inquinamento dell'aria, la salute delle nostre famiglie, la qualità della loro educazione o la gioia dei loro momenti di svago…il PIL misura tutto tranne ciò che rende la vita degna di essere vissuta". E allora non bastano le buone intenzioni, non è sufficiente seguire l'andamento delle Borse o dello spread, non è sufficiente abolire o meno l'IMU, non basta l'aumento del PIL per raggiungere il fatidico benessere e per dare un senso alle scelte e ai comportamenti e, in definitiva, un senso pieno all'unicità della vita in tutte le sue sfaccettature. Papa Francesco, con la sua carismatica personalità - che gli deriva, oltre che dalla fede, dal suo stile di vita improntato alla sobrietà, dalla sua istintiva umiltà e semplicità, ma anche dal suo vissuto quotidiano vicino ai poveri del Sud del mondo - riesce a racchiudere in poche frasi e in semplici gesti tutto il suo pensiero e le sue proposte. Basta un "buongiorno" o un "buon pranzo" per esprimere umiltà e fratellanza, basta definirsi "vescovo" e non papa per esprimere l'uguaglianza e non la posizione di leader, basta scegliere Lampedusa come prima visita per mettere sotto la lente di ingrandimento il vero volto della povertà. Ma sono proprio questi concentrati di pensiero e di gesti ad avere degli effetti di simpatia e credibilità su credenti e non credenti, come dimostrano le tante espressioni e manifestazioni di entusiasmo, di apprezzamento e di affetto da parte di tutti, soprattutto dei giovani, o i tanti libri che già sono stati scritti su Papa Francesco, o l'aumento del 13% del turismo religioso che si è registrato dopo la sua elezione.

Se vogliamo leggere le omelie e l'esempio di Papa Francesco in chiave strettamente economica possiamo scorgere che essi rappresentano una formidabile lezione di economia e un "indispensabile supporto" per avviare un processo di cambiamento culturale, che avrà ricadute positive in campo economico, sociale e politico, oltre che costituire un antidoto per prevenire ulteriori crisi.

Dal punto di vista economico. Gli stili di vita del Papa improntati alla sobrietà richiamano il fenomeno del consumismo e degli sprechi. In economia il consumo è certamente un elemento fondamentale della domanda aggregata; è dal consumo che si generano produzione e occupazione e, secondo il paradosso della parsimonia, in macroeconomia più si consuma più aumenta il PIL. Ma quando l'avidità del consumo diventa consumismo si generano degli effetti negativi, sia dal lato della domanda che dell'offerta. Dal lato della domanda, il consumatore avido, ricorrendo spesso anche all'indebitamento, destina risorse all'acquisto di beni che esulano dai suoi effettivi bisogni, sottraendo parte del suo reddito al risparmio o ad impieghi più efficienti o più produttivi, oltre che produrre quantità di rifiuti tali da diventare emergenza. Dal lato dell'offerta, di fronte ad una elevata domanda, che spinge all'aumento dei prezzi, l'imprenditore è stimolato ad aumentare la produzione tenendo conto anche delle aspettative di consumo, sicché la produzione oltrepassa la domanda effettiva. L'effetto negativo che ne deriva è il cosiddetto spreco, che per decenni è stato affrontato mandando al macero ingenti quantità di merce invenduta, che ha comportato, per l'impresa, un aumento dei costi per lo smaltimento e, per l'ambiente, un danno in termini di accumulo di spazzatura. Sebbene nel 1998 una ricerca accademica alla Facoltà di Agraria dell'Università di Bologna abbia fatto nascere l'idea di creare un "last minute market", cioè la destinazione dei beni alimentari dei supermercati, prossimi alla scadenza, alle categorie di soggetti più bisognosi - idea che è stata colta al volo da istituzioni come la Caritas e il Banco alimentare - a livello politico l'emergenza discariche e l'impatto negativo sull'ambiente è stato recepito solo recentemente. La "legge anti-sprechi", la 244/2007, è entrata in vigore nel 2008, con lo scopo di ridurre i rifiuti e trasformare lo "spreco in risorsa". Con tale legge si è rafforzata, infatti, l'attività di "last minute market", che ha ampliato i tipi di beni (ai farmaci da banco, ai prodotti ortofrutticoli, ai libri, ecc.) destinati a ciò che viene definito "il pronto soccorso sociale".

Molto probabilmente Papa Francesco non ha studiato economia, ma il suo stile di vita improntato alla sobrietà, che deriva da una sua istintiva scelta personale dettata dalla povertà francescana, rappresenta un'importante lezione di economia. Qualsiasi testo di economia ci insegna che la condizione di equilibrio di un sistema economico è l'uguaglianza tra risparmi e investimenti, e siccome alti consumi significano minori risparmi e minori investimenti, l'effetto è quello di creare una minore capacità produttiva, cioè minore capacità di produrre per le generazioni successive. È quanto è avvenuto nei decenni scorsi con l'irrefrenabile corsa al consumo, che ha creato consumatori ingozzati e sottratto risorse alla generazione attuale.

Con la sobrietà Papa Francesco esplicita anche una funzione educativa, nel senso che responsabilizza il consumatore, portandolo a rendersi consapevole che il consumo è il rapporto tra le persone e i beni materiali, la cui caratteristica è l'utilità e non la garanzia di felicità come è stato considerato nei decenni scorsi e come non lo era mai stato nella storia; responsabilizza inoltre l'impresa, portandola a rendersi consapevole che ha una responsabilità sociale e ambientale, in quanto la sua attività è inserita non solo nel sistema economico, ma anche nel sistema sociale e ambientale, da cui deriva la responsabilità di andare oltre gli obblighi giuridici e, volontariamente, impegnarsi ad un comportamento etico, sia nell'attività produttiva che nelle relazioni con i propri stakeholders, al fine di generare benessere sociale e tutelare l'ambiente.

Un'altra lezione di economia che Papa Francesco ci dà è quando mette in netta evidenza la povertà. Oltre ad esprimere con le parole la sua attenzione per i poveri, il Papa lo dimostra ogni volta che ne ha l'occasione: scegliendo come prima visita Lampedusa per dare rilievo al dramma degli immigrati o con la visita ad una famiglia della favelas di Varginha durante la GMG di Rio de Janeiro. Sebbene per il Papa eliminare la povertà significhi ridare dignità alle persone, dal punto di vista economico, e in particolare in un momento di crisi, i poveri potrebbero diventare una risorsa per la crescita economica. Ogni studente di economia sa che nel meccanismo economico il PIL si origina dalla produzione e la produzione si alimenta di domanda globale, cioè di Consumi, di Investimenti, di Spesa pubblica (domanda interna), e di Esportazioni nette (domanda estera). In un momento di crisi, in cui la domanda interna è bassa, la domanda estera, cioè le esportazioni, potrebbero contribuire all'aumento della produzione, dell'occupazione e del PIL. Le esportazioni, è chiaro, presuppongono un mercato di sbocco, e quale mercato più ampio può esserci se non quello in cui i consumi sono quasi inesistenti, come nella fascia di popolazione dei Paesi poveri. Uscire dalla crisi partendo dai poveri potrebbe essere pertanto possibile se si tiene conto di un principio economico secondo il quale i poveri hanno un'alta propensione marginale al consumo, capace di rendere più dinamica l'economia. Purtroppo, è chiaro che i Paesi poveri non possono essere oggi un significativo mercato di sbocco per i bassi livelli di reddito, che non consentono loro di importare quei beni di cui hanno bisogno, ma avrebbero potuto esserlo se per decenni la politica economica internazionale non avesse seguito quella che il Papa definisce in maniera forte la cultura dello scarto e la globalizzazione dell'indifferenza, che si sta rivelando oggi come un boomerang che si ritorce contro i Paesi industrializzati, che si trovano di fronte alla povertà, che, da un lato, rivendica giustizia e, dall'altro, non è in grado di diventare risorsa. Questa situazione ci ricorda un proverbio, che recita: "saluta sempre chi incontri salendo le scale perché prima o poi lo incontrerai scendendo".

È noto che di fronte al dilemma globale tra efficienza ed uguaglianza, il modello economico affermatosi nel dopoguerra ha privilegiato l'efficienza, considerata un elemento fondamentale per la crescita economica. La ricerca dell'efficienza ha comportato un necessario compromesso con l'uguaglianza, nel senso di una diseguale distribuzione del reddito a favore dei Paesi del Nord del mondo, che hanno utilizzato risorse umane e materiali e, in base alla teoria keynesiana del moltiplicatore, nel breve periodo, e in base alla teoria dell'acceleratore, nel lungo periodo, hanno raggiunto alti livelli di capacità produttiva, di occupazione, di PIL e di tenore di vita. In questo meccanismo, la crescita è diventata avidità e la disuguaglianza è diventata scarto e indifferenza. In altri termini, crescita e disuguaglianza sono diventate due realtà antitetiche e complementari del processo di sviluppo. Infatti, è noto che i Paesi poveri del Sud del mondo sono stati i maggiori fornitori di materie prime, il cui "basso prezzo", insieme alla carenza di tecnologia e di formazione delle risorse umane, ha ostacolato la crescita di quei Paesi e alimentato il circolo vizioso della povertà; dall'altro, sebbene si era consapevoli che tale modello economico avesse perpetuato il circolo vizioso della povertà, tuttavia gli aiuti allo sviluppo, pari allo 0,7% del PIL, che i Paesi industrializzati hanno in più occasioni dichiarato di destinare ai Paesi poveri, non sono mai stati istituzionalizzati; pertanto l'esigua percentuale del PIL che liberamente ogni singolo paese industrializzato vi ha destinato non è stata adeguata per mettere in moto un processo di crescita e di sviluppo. "La povertà non si sconfigge con la beneficienza ma con gli investimenti" sostiene il premio Nobel per l'economia Amartya Sen. Più che trasferimenti di risorse a titolo di aiuto o di pie missioni, questi Paesi necessitano di investimenti in istruzione, conoscenze tecnologiche, capacità organizzative, al fine di recuperare competitività internazionale e riequilibrare Paesi forti e Paesi deboli, sviluppo e sottosviluppo. Di fronte a fasce estreme di povertà e di fronte al biblico esodo delle popolazioni le frasi del presidente della Camera Laura Boldrini, "nulla può essere come prima…bisogna riconsiderare la politica verso i paesi di origine degli immigrati", fa presupporre la necessità di un secondo Piano Marshall.

Non solo a livello globale, ma anche all'interno dei paesi occidentali spesso le politiche del benessere e di lotta alla povertà non sono state impostate secondo la logica di una maggiore giustizia redistributiva ma per contenere conflitti sociali e/o ottenere consensi politici. L'interazione tra fenomeni politici e grandezze macroeconomiche ha dato luogo ad una corrente di pensiero che attribuisce a tale interazione la causa dell'instabilità ciclica, coniando l'espressione ciclo economico-politico. Una tale impostazione della politica sociale, sia dal lato della domanda (previdenziale, sanitaria, del lavoro) che dell'offerta (sussidi alle imprese) ha comportato un eccessivo aumento della spesa pubblica, che si è tradotto spesso in inefficienza redistributiva e in non trascurabili sprechi di risorse, che hanno contribuito ad alimentare l'ingente debito pubblico che oggi ci troviamo ad affrontare. Per cui si può dire che anche il non mercato non è immune da fallimento, ed esso può avvenire anche per eccesso di intervento, e quindi per eccesso di potere, e tale da alimentare il ritorno agli studi sul significato etico e morale dell'economia, tipico della visione aristotelica e secondo il significato di scienza sociale attribuitale da docenti di filosofia, primo fra tutti Adam Smith. Ed è quello che, a suo modo, esprime Papa Francesco.

Dal punto di vista sociale. Papa Francesco solleva molti temi sociali, i cui cambiamenti nelle dinamiche ancora in atto, costituiscono sfide molto complesse e difficile da gestire, sia da parte della società civile, che ha ormai acquisito diritti e consolidato stili di vita, sia da parte dello Stato, che, avendo perso parte della legittimità politica, ha difficoltà ad affrontare le emergenze sociali. Le realtà sociali in stato di emergenza sono molte: dalla famiglia al welfare state, all'immigrazione, alla povertà, ai giovani, agli anziani, all'educazione, alla fiducia nelle istituzioni, all'invecchiamento della popolazione, che rendono incerta la configurazione della società di domani, mettendo in difficoltà anche le teorie sociologiche moderne nell'interpretare i diversi e inattesi cambiamenti sociali.

Il Papa dà una spinta forte ai temi fondanti della società, in particolare della famiglia e della povertà. Sulla povertà ne abbiamo accennato. Sulla famiglia ci piace riferire i punti salienti del messaggio che il Papa ha inviato alla 47° Settimana Sociale dei Cattolici italiani, convocata a Torino dal 12 al 15 settembre scorso, avente come tema "Demografia e scommessa sulla vita": "la famiglia è bene di tutti…è il primo principale soggetto costruttore della società e di un'economia a misura d'uomo…è ben più che un tema: è vita, è tessuto quotidiano, è cammino di generazioni…è solidarietà concreta, fatica, pazienza, e anche progetto, speranza e futuro". Nell'ambito della famiglia Papa Francesco sottolinea l'importanza dei giovani e degli anziani. È quasi un monito quando dice "speranza e futuro presuppongono memoria…il futuro della società, e in concreto della società italiana, è radicato negli anziani e nei giovani: questi perché hanno la forza e l'età per portare avanti la storia, quelli perché sono la memoria viva…un popolo che non si prende cura degli anziani e dei bambini e dei giovani non ha futuro perché maltratta la memoria e la promessa". Alla Settimana Sociale era presente il Premier Enrico Letta, che ha fatto ruotare il suo discorso sulla fiducia: "solo se c'è fiducia questo Paese si salverà…perché senza fiducia le famiglie non fanno figli…e la fiducia viene soltanto da scelte, da politiche di welfare, dalla lotta alla disoccupazione giovanile…il Paese deve riprendere una dinamica demografica diversa…una società in cui la demografia ci dice che soltanto con il sostegno delle famiglie immigrate ed extracomunitarie teniamo il livello minimo di sopravvivenza ci deve dire che c'è un campanello d'allarme sul futuro a cui dobbiamo dare delle risposte…siamo una società sterile, che non fa figli, e che sulla demografia sta perdendo la scommessa sulla vita".

Papa Francesco, sollecitando il tema sociale della famiglia ci dà un'altra lezione di economia. È noto che i fattori produttivi che mettono in moto il meccanismo economico sono il lavoro e il capitale. Il lavoro dipende dalla Forza lavoro, cioè dal numero di lavoratori che partecipano al processo produttivo. Ed è chiaro che con la riduzione delle nascite si riduce l'input produttivo del fattore lavoro e il correlativo output, cioè si produce meno reddito, mentre il tasso di invecchiamento della popolazione, che è tra i più alti al mondo, impone maggiori energie per la cura degli anziani, oltre che la destinazione di una quota di reddito sempre maggiore al sistema pensionistico. La famiglia è pertanto uno dei fenomeni emergenti, spesso non valutato sufficientemente, che merita di essere posto al centro dell'attenzione della politica economica e sociale, in quanto la famiglia è l'unità basilare che influenza la struttura economica e sociale di un Paese. È dalla famiglia che si generano Forza lavoro, consumi, risparmio, imprese, capitale umano, capitale sociale, ammortizzatori sociali, cioè quegli elementi indispensabili per la crescita e lo sviluppo. È noto che oggi situazioni di contesto - riguardanti l'incertezza economica e occupazionale, l'organizzazione della società, le mutate relazioni sociali - rendono la famiglia una realtà fragile che perde buona parte della capacità di generare questi elementi: la Forza lavoro è diminuita per la riduzione delle nascite e la conseguente riduzione del numero delle famiglie; i consumi, il risparmio e le attività produttive oggi sono in calo per effetto della crisi economica; la formazione del capitale umano è in difficoltà a causa della riduzione del potere d'acquisto delle famiglie, che spinge molti giovani ad interrompere gli studi; la formazione del capitale sociale è anch'essa in difficoltà a causa dei mutamenti nei rapporti relazionali; anche la funzione di ammortizzatore sociale delle famiglie oggi è in via di esaurimento, dopo cinque anni di crisi economica. Per cui, declinare il termine sviluppo economico e sociale trascurando l'importanza della famiglia significa essere miopi e non accorgersi che la famiglia è "un tesoro nascosto del nostro Paese", come l'hanno definita gli economisti Alberto Alesina e Andrea Ichino.

Nel quadro familiare, il Papa, esprimendo la sua preoccupazione per i giovani e gli anziani, sollecita a ripensare il legame tra politica economica e politiche familiare e sociale, attraverso più efficaci interventi di politica fiscale e di politiche del lavoro e un più efficiente sistema di welfare state. "L'approccio delle capacità" (capability approach) dell'economista Amartya Sen ci suggerisce che sostenere la famiglia significa ridarle dignità e autorevolezza e metterla in condizioni di avere, appunto, la capacità di fare delle scelte che abbiano effetti positivi sul sistema economico e sociale, attuale e futuro. Gioca in questo senso l'impegno delle istituzioni verso l'attuazione di politiche, economica e sociale, "a misura di famiglia" e non più settoriali: scolastica, sanitaria, pensionistica. Tanto più che l'Italia occupa gli ultimi posti tra i Paesi europei in quanto a tutela della famiglia, in genere, e a tutela contro i rischi di povertà, in particolare. La spesa pubblica destinata alla famiglia si aggira intorno all'1% del Pil, contro una media europea del 10%. Molto importante è l'avvio di efficaci politiche attive del lavoro, soprattutto giovanile, ma riteniamo che un'attenzione particolare debba essere rivolta al mercato del lavoro femminile, nella considerazione che la donna ha un ruolo economico come donna-lavoratrice, ma ha anche un ruolo sociale come madre-lavoratrice e generatrice di offerta di lavoro futuro. L'aumento della presenza delle donne nel mercato del lavoro, derivante dalla necessità di aumentare il reddito familiare, oltre che dall'ambizione di realizzazione professionale, pur essendo una conquista sociale, è in buona parte la causa della crisi demografica e della riduzione di una rete di rapporti familiari informali, che in passato erano sussidiari al sistema di welfare. Per non perdere la "scommessa sulla vita" è importante che le politiche sociali siano orientate non solo alle donne-lavoratrici ma anche alle madri-lavoratrici - istituendo più incisive forme di conciliazione lavoro-famiglia, come orari di lavoro più compatibili con gli orari scolastici, maggiori servizi e infrastrutture a misura di bambino, più asili nido, anche nel luogo di lavoro - oltre che alle figlie-lavoratrici, istituendo più efficienti servizi per gestire la longevità e i problemi di salute degli anziani che vivono in famiglia.

L'altro fattore produttivo è il capitale. Nell'ambito dell'economia dello sviluppo, nata come branca autonoma della scienza economica nel secondo dopoguerra, la concezione di capitale quale fattore produttivo si è evoluta nel corso degli anni. Negli anni della ricostruzione postbellica lo sviluppo si identificava con l'accumulazione del capitale fisico, cioè con l'investimento in beni strumentali necessari per produrre beni e servizi. Dagli anni Settanta del secolo scorso, di fronte ad un'economia già industrializzata e di fronte alla riduzione della produttività, a causa degli aumenti salariali e della crisi petrolifera del 1972, cominciò a nascere l'esigenza di aumentare la produttività attraverso il capitale umano, cioè attraverso lavoratori più istruiti e più specializzati, che diede avvio all'aumento della domanda di istruzione, media e universitaria. A partire dagli anni Ottanta, di fronte ad un'economia matura e ad una qualità della vita insoddisfacente, si è cominciato a sostenere la tesi che, ai fini dello sviluppo inteso come miglioramento della qualità della vita, non solo i macchinari, le infrastrutture (capitale fisico) e le risorse umane (capitale umano) erano fattori produttivi essenziali, ma anche la rete di rapporti interpersonali, cioè il capitale sociale, assumeva rilevanza per aumentare la produttività e creare valore aggiunto. Si è sentita cioè la necessità, non tanto, e non solo, di beni materiali ma anche, e soprattutto, di beni immateriali, cioè quei beni che migliorano le relazioni, sia con i partner economici che con gli organi istituzionali. In economia si parla, infatti, di beni economici relazionali, nella consapevolezza che i rapporti relazionali hanno degli importanti effetti economici. E, dal punto di vista della formazione del capitale sociale, non si può non riconoscere che un ruolo determinante è svolto dalla famiglia, che è la prima istituzione deputata in modo naturale alla formazione educativa, psicologica e culturale delle nuove generazioni, cioè una formazione integrale che, avendo effetti duraturi, è considerata, appunto, un capitale. La stessa società si rinnova con le nuove generazioni e con il loro bagaglio educativo. I primi a dare importanza al capitale sociale sono stati i sociologi, ma successivamente anche i politologi ne hanno recepito la rilevanza per la società e gli economisti hanno messo in rilievo esternalità positive indispensabili per il buon funzionamento del sistema economico. Papa Francesco spinge nella direzione della formazione del capitale sociale quando esterna i principi basilari del suo pensiero: la giustizia, la solidarietà, la relazionalità, la famiglia, la povertà, ricordandoci che il capitale sociale, essendo essenzialmente un bene relazionale, paradossalmente, ha la capacità di aumentare quando aumenta il numero di persone che lo compongono, a differenza della ricchezza materiale, che diminuisce quando aumenta il numero di persone tra cui distribuirla. La complessità del concetto di capitale sociale rende difficoltosa anche una definizione univoca, ma tutti sono d'accordo nel ritenere che esso nasce innanzitutto dal bisogno di verità, giustizia e percezione di alti ideali che abbiano al centro la persona umana.

Dal punto di vista politico. Mettendo al centro dei suoi discorsi la persona e la cultura del dialogo Papa Francesco lancia dei messaggi anche alla politica, che, secondo il principio della rappresentanza, ha il compito di assicurare un sistema democratico, basato sulla centralità della persona, sulla giustizia e sul rapporto tra cittadini e istituzioni.

La storia ci insegna che le battaglie per la democrazia hanno radici molto antiche ed hanno continuato nel corso dei secoli per la conquista dei diritti civili e politici dei cittadini. L'idea di democrazia moderna deve molto alla Rivoluzione francese, con il suo famoso motto liberté, égalité, fraternité, ed è a questa rivoluzione sociale, politica e culturale e all'emanazione della "Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino" che si sono ispirate le Costituzioni moderne. Tuttavia l'esperienza di regimi autoritari si è avuta in Europa fino ai primi decenni del secolo scorso. Dopo questa esperienza gli Stati hanno creduto nella forma di governo democratico, e persino gli Stati in conflitto tra di loro nella seconda guerra mondiale hanno capito che solo con il dialogo era possibile la costruzione di un'Europa democratica. Da allora la democrazia è stata la forma di governo privilegiata da molti Stati. Anche il crollo del muro di Berlino nel 1989 è stato il trionfo della democrazia sulla dittatura sovietica. E, più recentemente, la domanda di democrazia in alcuni Paesi della sponda sud del Mediterraneo deriva dall'esigenza di affermare la sovranità popolare. Ci sembra utile sottolineare che nelle varie battaglie per la conquista della democrazia sono stati sempre richiamati i diritti di "liberté" e "légalité", ma quasi mai la "fraternité". Persino il famoso appello di don Luigi Sturzo del 1919 si è fermato alla richiesta di libertà e giustizia: "A tutti gli uomini liberi e forti...facciamo appello perché uniti insieme propugnino nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà".

Non può certo sfuggire che oggi la crisi economica ha reso ancora più instabili le fondamenta della democrazia nei Paesi occidentali, come dimostra la riduzione della partecipazione alla vita politica e della fiducia nelle istituzioni, il ricorso a governi tecnici, le lotte politiche, le misure di austerità, il deterioramento del sistema di welfare state. Queste criticità hanno fatto recedere alcuni Paesi, compresa l'Italia (che è passata da "Democrazia piena" nel 2008 a "Democrazia imperfetta"), nella classifica in base al grado di democrazia (Democracy index) che il settimanale "The Economist" pubblica ogni anno. Quando Papa Francesco sottolinea il senso di responsabilità, la giustizia, l'uguaglianza, la trasparenza, la dignità della persona, gli alti ideali e la cultura del dialogo vuole dirci che la perdita di gran parte del valore di questi elementi rappresentano seri segnali di rischio di indebolimento della democrazia.

Altri discorsi del Papa possono essere considerati dei significativi messaggi alla politica. Quando il Papa dice che la Chiesa non deve aspettare, ma deve uscire e andare incontro alle persone e mettersi in ascolto, trasmette un messaggio anche alla politica, il cui compito è quello di essere al servizio dei cittadini, con i quali democraticamente deve esserci un "dialogo", soprattutto quando le decisioni riguardano questioni fondamentali per l'uomo-cittadino, per la società e per l'ambiente. Del resto "ministro" significa "essere al servizio di", "dare risposte politiche". Il Papa fornisce spunti di riflessione alla politica anche quando, considerandosi umilmente vescovo e non papa, vuole comunicare che considerarsi leader è sintomo di individualismo e di affermazione personale, che poco si addice alla rappresentanza politica. O quando chiede di pregare per lui, instaurando un rapporto di reciprocità e di fratellanza, richiama il terzo termine del motto della Rivoluzione francese fraternité, poco applicato ma capace di generare vicinanza e fiducia, anziché distanza e conflitto, e rendere completo il concetto di democrazia. O quando afferma "come vorrei una Chiesa povera e per i poveri" vuole comunicare l'importanza dell'essenzialità, della giustizia e della solidarietà, che sono le parole chiave del pensiero di Papa Francesco, ma non le parole chiave della politica, con la conseguenza di un agire distorto che allontana dal considerare la politica una missione e dal creare un meccanismo di rapporti giusti tra cittadini e istituzioni.

In conclusione possiamo constatare che la lettura in chiave economica del pensiero di Papa Francesco è un messaggio di speranza che ci dice che è possibile uscire dalla crisi se si comincia a fare un viaggio dentro di sé, perché ognuno riscopra la propria spiritualità, e se si considerano le sfide del nostro tempo come un banco di prova, sia a livello individuale che collettivo. Seppure inconsciamente, Papa Francesco ci dà "lezioni di economia", le stesse dei padri fondatori della scienza economica, cioè l'ottima allocazione delle risorse scarse per soddisfare bisogni illimitati, che conduce ai cardini dell'economia, cioè l'efficienza tecnica (produzione e consumi senza sprechi) e l'efficienza economica (equa distribuzione delle risorse). Questi due fondamentali principi economici il Papa li enuncia con il suo stile di vita sobrio e con l'attenzione ai poveri. Nonostante i soggetti economici (consumatori, imprese, Stato) ne siano pienamente consapevoli, tuttavia sia il mercato che lo Stato mostrano situazioni di fallimento, a causa spesso di comportamenti economici travisati che invalidano la forza generatrice dell'economia e la sua essenza di scienza sociale. Col suo stile di vita e con le sue argomentazioni il Papa mette in evidenza che è possibile applicare i principi fondamentali dell'economia, dandoci anche una "lezione di educazione civica e morale", ricordando agli economisti, ai cittadini, ai politici che lo "sviluppo" è un concetto diverso dalla crescita, essendo essenzialmente un fenomeno "culturale", l'unico che dà ad un Paese l'identità di Paese civile.

Nei numerosi dibattiti politici e scientifici a cui assistiamo, le proposte di strategie per uscire dalla crisi si moltiplicano, ma essendo presentate da punti di vista diversi creano uno scenario da Torre di Babele, dove lingue diverse generano incomprensioni e contraddizioni e creano tensioni sociali, oltre che economiche, politiche e culturali, che - dando all'economia e alla società una fisionomia da tela di Penelope, dove di giorno c'è qualcuno che tesse e la notte c'è qualcuno che disfa - rendono problematica la via di uscita della crisi. Sembra che non siano sufficienti le misure di politica economica dei governi, né i tentativi di elaborazione di indici di benessere alternativi al Pil, né gli "Obiettivi del Millennio" che nel 2000 si erano prefissi di raggiungere 189 Paesi entro il 2015, primo fra tutti quello di diminuire la povertà.

Di fronte a numerosi problemi, vecchi e nuovi, acuitisi dall'inizio di questo secolo, l'insegnamento di Papa Francesco può sembrare la lotta contro i mulini a vento in quanto il suo imperativo più ricorrente è quello di avere la speranza di un mondo migliore e di osare di guardare in alto. Ma il Pontefice è convincente, in quanto ne è convinto lui stesso, quando nella Torre di Babele individua il linguaggio della spiritualità come denominatore comune a tutti gli esseri umani. Per far arrivare il suo messaggio a tutti egli usa, intelligentemente, un linguaggio semplice ma profondo, e pertanto comprensibile a tutti perchè accomuna tutti, credenti e non credenti: la coscienza, che l'ateo riconosce come spiritualità umana, il cristiano la identifica con la spiritualità religiosa, chi crede nella vergogna la identifica con la spiritualità emotiva, e in economia e in politica significa vera responsabilità. Nei suoi discorsi il Papa, cogliendo l'essenzialità, coniuga fede e intelligenza e lancia un monito, cioè di essere non tanto "sentinelle del fisco", come si è definito recentemente qualche politico, ma "sentinelle della propria coscienza", che rende sempre attuale la frase di Seneca che, ateo, diceva "io non voglio far nulla per l'opinione altrui, io voglio far tutto per la mia coscienza", che rappresenta il solo modo per "uscire dalla cecità interiore", che porta alla mediocrità oggi dominante e al basso tono morale della vita pubblica e privata.

Papa Francesco va ben oltre la coscienza quando dai suoi atteggiamenti fa trasparire un altro tratto caratteristico della sua personalità: il cuore, che tutti, credenti e non credenti, posseggono e che può essere utilizzato a costo zero. Ormai è una percezione generale che il cuore è la pietra di volta di tutti i discorsi e i comportamenti del Papa e che ha un effetto dirompente proprio nel cuore della gente. Persino dall'aereo che da Rio De Janeiro lo riportava a Roma dopo la GMG, non potendo comunicare verbalmente, Papa Francesco ha disegnato un cuore con i due indici sul vetro del finestrino. In economia il cuore è un perfetto sconosciuto, ma potrebbe avere un ruolo importante per spingere verso un'economia più giusta, una società più solidale e una politica più democratica. Forse l'unico economista che ha utilizzato il termine "cuore" in un testo di economia è Paul Samuelson, premio Nobel nel 1970, che ha intitolato un sottoparagrafo Menti fredde e cuori caldi, proprio per sottolineare che "la società deve trovare il giusto equilibrio tra la dura disciplina del mercato e l'atteggiamento compassionevole espresso attraverso i programmi di assistenza pubblica. Quando menti fredde informano cuori caldi, la scienza economica può svolgere il proprio ruolo per assicurare la creazione di una società florida e giusta" ("Economia", McGraw Hill, 2009, pag. 3).

I messaggi di Papa Francesco non risolvono certo i problemi nell'immediato, ma la sua figura e il suo insegnamento indicano la strada da percorrere e sono destinati a dare forza e ad accelerare i processi di cambiamento che si cominciano ad avvertire e ad essere resi palesi soprattutto dai giovani, il cui senso di giustizia e lo slancio giovanile li rendono spesso protagonisti di iniziative coraggiose, come il volontariato e l'adesione ad associazioni contro le attività illegali. È soprattutto ai giovani che il Papa si rivolge quando parla di speranza e sarà certamente tra i giovani che emergeranno "uomini nuovi con alti ideali", capaci di leggere l'attuale crisi come opportunità per "sognare" un mondo migliore e, con costante impegno, realizzarlo facendo una sintesi tra la realtà e l'insegnamento di Papa Francesco, al fine di superare la mediocrità nei comportamenti, delineare un modello scocio-economico che riconosca l'autentico significato di sviluppo e costruire una nuova scala di valori nella quale l'uomo, con la sua intelligenza e la sua creatività, venga considerato, come sostiene Magdi Cristiano Allam, il primo e vero patrimonio dell'umanità da tutelare.
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13/11/2013 | 8474 letture | 0 commenti
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