Terza pagina
L'Opuntia ficus-indica nell'economia di Vizzini
L'Opuntia ficus-indica, nome scientifico del ficodindia, è una pianta
grassa, un cactus che con Vizzini ha molto in comune. Ma prima sarebbe opportuno
dare dei cenni storici sulla pianta, che erroneamente si crede introdotta in Europa,
e più specificatamente in Sicilia, dagli arabi. Niente di più falso,
il ficodindia è originario dell'America centrale e meridionale e fu introdotto
in Europa dagli spagnoli, subito dopo la scoperta delle Americhe da parte di Colombo,
il quale credeva di aver circumnavigato il globo ed essere arrivato nelle Indie,
da qui il loro nome.
Su di un inserto de "La Sicilia", di recente pubblicazione, il giornalista Alfonso Stefano Gurrera traduce il termine ficodindia con "Tenochtitlan", letteralmente "ficodindia su una pietra". Mi permetterei una piccola correzione a riguardo, chiedendo aiuto ad un buon libro di storia.
Tenochtitlan fu la capitale dell'impero Azteco, fondata su di un'isola sul lago Texcoco, nell'attuale Messico centrale, intorno al 1325. La leggenda narra di una antica profezia che spinse gli Aztechi a lasciare la città di Aztlàn alla ricerca di un luogo sacro dove fondare la loro nuova città, la profezia si sarebbe compiuta alla visione di un'aquila che mangia un serpente in cima ad un cactus (della specie delle Opuntie); si narra che quella visione apparve agli Aztechi in un isola al centro di un lago, appunto il Texcoco e lì, nel 1325, decisero di costruire la loro città che chiamarono Tenochtitlàn, letteralmente «città (là) di (tit) Tenoch» dal nome del loro capo. Infatti Tenoch figura tra i primi Huey Tlatoani (in lingua Nahuatl, precolombiana, letteralmente Grande Oratore, Imperatore) di Tenochtitlan, regnando dal 1325 al 1376. Da questa storia-leggenda i Messicani trassero quella scena che oggi figura sulla loro bandiera.
Ritornando al nostro ficodindia, esso appartiene alla famiglia delle Cactaceae, famiglia composta da circa 200 specie; la pianta, arborescente di altezza sino ai 5 metri, è caratterizzata dall'articolazione della parte aerea in internodi appiattiti chiamati cladodi, più comunemente "pale", verdi, rivestiti di cere e ricche di succo in grado di compiere la fotosintesi clorofilliana, dalle piccole foglie caduche, presenti sull'asse fiorale, sono effimere in quanto hanno una durata di 30 giorni, e da numerose spine molto piccole disposte intorno alle gemme. I fiori, di colore giallo, compaiono in primavera nelle zone con una temperatura mite, e in estate nelle zone più calde.
Le specie ancestrali, come abbiamo già detto, si sono originate nell'America tropicale e solo negli aridi altipiani messicani si è riscontrato il centro della maggiore diversità genetica dell'Opuntia, essa è presente in tutto il territorio americano, dal Canada meridionale alla Patagonia.
Grazie alla sua elevata adattabilità a condizioni ambientali differenti, si è anche diffusa in Sudafrica e in tutto il bacino del Mediterraneo, ed in particolar modo in Sicilia, dove è oggetto di coltura specializzata; la caratteristica comune delle aree di diffusione è comunque un grado più o meno accentuato di aridità.
Veniamo agli usi di tale piante, importantissimi ai fini strettamente economici, in quanto consente una molteplicità di utilizzazioni, con l'impiego di quasi tutte le parti della pianta, in diversi settori:
- Settore agroalimentare: con il consumo fresco del frutto che può essere "agostano" e "bastarduni" (racconterò dopo un aneddoto), la produzione di marmellate, sciroppi, canditi, bevande alcoliche e non, farine e olii estratti dai semi. Nelle zone di origine della pianta, e quindi limitatamente al Messico, il frutto viene servito anche leggermente grigliato e innaffiato di succo fresco di Cantalupe, mentre i giovani cladodi (le pale) vengono consumati come verdura.
- Settore zootecnico: la pianta, prevalentemente fresca, viene usata per l'alimentazione del bestiame.
- Settore industriale: le diverse parti della pianta vengono utilizzate per la produzione di coloranti, pectine, mucillagini, concimi organici e biogas.
- Settore farmaceutico: produzioni di medicinali per la cura del diabete, dell'obesità, delle affezioni infiammatori e per la produzione di prodotti per la cosmesi.
I frutti caratterizzati da una elevata variabilità nella forma, nella dimensione e nel colore, hanno caratteristiche qualitative diverse, diversità riscontrabili tra i due frutti prodotti nell'arco dell'anno solare, gli "agostani", così chiamati perchè nati dal primo fiore nel mese di agosto, e i "bastarduni", nati dal secondo fiore e portati a maturazione non prima della fine di settembre, grazie alle prime piogge di fine estate nelle produzioni non irrigue.
Veniamo ai nostri "bastarduni" e all'aneddoto che li vuole nati grazie alla furia vendicativa di un giovane, il quale pazzamente innamorato della figlia di un agricoltore del paese, si vedeva rifiutare la mano da parte dello stesso, in quanto il giovane era considerato un fannullone senza arte nè parte. Fu così che, dopo ripetute richieste da parte del giovane innamorato e continui rifiuti da parte del papà della giovane, decise di vendicarsi buttando giù, "scutulannu", tutti i frutti della piantagione di fichidindia dell'acerrimo e despote papà, con il solo scopo di causare un danno economico; ma il danno fu solo momentaneo, perchè subito dopo sui cladodi, le pale, fecero capolino altri fiori che dettero il frutto oggi chiamato "bastarduni" perchè nato fuori stagione grazie all'intervento dell'uomo. Il "bastarduni", a differenza del primo frutto, è più sodo e succulento, presenta meno semi, da 200 a oltre 400 per frutto nella prima produzione, e si conserva, se tenuto in un luogo fresco e ben areato, per molto tempo.
Fatta questa lunga ma dovuta premessa, con lo scopo di acquisire ulteriori notizie su di una pianta di nostra conoscenza, veniamo al rapporto che si è instaurato, nel corso dei secoli, tra questo dolce e succulento frutto e il nostro caro paese.
Credo che per avere una visione più chiara e globale di questo strano rapporto, sarebbe opportuno arrivare sino a piazza De Gasperi ed ammirare il paesaggio circostante: la Valle dei Mulini. Un unico colpo d'occhio, un tappeto verde steso su ambedue i lati della vallata, partendo dal boschetto di Sant'Angelo, dove fanno capolino le prime piante a limitare il bosco di pini e abeti sino ad arrivare alla Cunziria; qui la pianta, lasciata crescere in uno stato di totale abbandono, si è sbizzarrita sviluppandosi in volute e spirali, contribuendo così a dare un ulteriore tocco artistico-scenografico al già bello e suggestivo paesaggio del borgo.
Si continua a scendere sino ad arrivare alla Fontana della Masera, incastonata anch'essa da alberi di ficodindia sino ad arrivare "'a testa e l'acqua" e "'a utti ranni". Il paesaggio della vallata, in questo periodo dell'anno, è monocromo, un'unica distesa di verde, di un verde intenso dove i nostri fichidindia la fanno da padroni.
Capite adesso il perchè di questo rapporto tra Vizzini e il ficodindia, la pianta da secoli ha fatto da sfondo ad eventi della storia del nostro paese:
La coltura e la loro commercializzazione hanno, nei tempi passati, incrementato
l'economia del nostro paese entrando a far parte integrante anche della nostra
cucina ed arte culinaria, "'a mustata ri ficurinia" solo per fare
un esempio.
Intorno a questa pianta si è costruita nel tempo l'immagine del siciliano d.o.c. paragonandolo ad un ficodindia, dal carattere forte e spinoso, ma una volta sbucciato, dolce e succulento, un paragone che centra di sicuro l'obbiettivo.
Ma come ogni cosa di questo mondo terreno, nulla è per sempre, e con il passare del tempo anche quell'economia mossa dalla commercializzazione dei "bastarduni ri Vizzini" si fermò, erano gli anni in cui si emigrava, si cercava fortuna all'estero. Si abbandonavano le campagne, e quelli che restavano sognavano un futuro più gratificante, diventare qualcuno... «aviri u pusticieddu e no essiri u viddanu». Fu l'inizio di un lungo ed inesorabile declino per l'economia del nostro paese che si ridusse a poche migliaia di abitanti, le terre abbandonate, le botteghe degli artigiani chiuse. Il buio più totale.
Passarono gli anni, nacque la Comunità Europea, si cercò di adottare
una politica di rivalutazione dell'agricoltura, si invogliarono giovani imprenditori
agricoli, con prestiti agevolati e mutui a fondo perduto, a riprendere colture
dimenticate; tanti furono i Comuni che risposero a questo appello, tanti, tranne
il Comune di Vizzini, dal quale partì solo qualche pratica, presentata solo
a scopo speculativo.
Oggi l'Italia si colloca al secondo posto, dopo ovviamente il Messico, della produzione mondiale, grazie soprattutto alla produzione siciliana che sfiora il 90% di quella nazionale; dal 2003 si ha avuto il gratificante riconoscimento del «Ficodindia d.o.p. dell'Etna», in un'area produttiva che abbraccia i comuni pedemontani, un certificato d.o.p. concesso alle 3 varietà prodotte in Sicilia: la Gialla "Sulfarina", la Bianca "Muscaredda" e la Rossa "Sanguigna"; ma è a San Cono che vanno tutti i riconoscimenti del caso per avere il primato della produzione, pari al 50% di quello prodotto nell'intera isola, con oltre 1500 ettari di terreno adibito a coltura, seguita dal Comune di Militello in Val di Catania.
Bene, credo che a questo punto non sia difficile fare due conticini e capire che quello che da noi una volta cresceva, quasi in modo spontaneo, nei più svariati anfratti e scarpate dell'intero territorio circostante, oggi, grazie a metodologie di coltivazione progredite e all'avanguardia, dà tanto lavoro e arricchisce le economie di molti comuni siciliani. Vizzini è una grande macchina abbandonata, ma ancora funzionante, ha solo bisogno di una buona lubrificata e una giusta messa a punto, per poter ripartire alla grande come i vecchi tempi.
Su di un inserto de "La Sicilia", di recente pubblicazione, il giornalista Alfonso Stefano Gurrera traduce il termine ficodindia con "Tenochtitlan", letteralmente "ficodindia su una pietra". Mi permetterei una piccola correzione a riguardo, chiedendo aiuto ad un buon libro di storia.
Tenochtitlan fu la capitale dell'impero Azteco, fondata su di un'isola sul lago Texcoco, nell'attuale Messico centrale, intorno al 1325. La leggenda narra di una antica profezia che spinse gli Aztechi a lasciare la città di Aztlàn alla ricerca di un luogo sacro dove fondare la loro nuova città, la profezia si sarebbe compiuta alla visione di un'aquila che mangia un serpente in cima ad un cactus (della specie delle Opuntie); si narra che quella visione apparve agli Aztechi in un isola al centro di un lago, appunto il Texcoco e lì, nel 1325, decisero di costruire la loro città che chiamarono Tenochtitlàn, letteralmente «città (là) di (tit) Tenoch» dal nome del loro capo. Infatti Tenoch figura tra i primi Huey Tlatoani (in lingua Nahuatl, precolombiana, letteralmente Grande Oratore, Imperatore) di Tenochtitlan, regnando dal 1325 al 1376. Da questa storia-leggenda i Messicani trassero quella scena che oggi figura sulla loro bandiera.
Ritornando al nostro ficodindia, esso appartiene alla famiglia delle Cactaceae, famiglia composta da circa 200 specie; la pianta, arborescente di altezza sino ai 5 metri, è caratterizzata dall'articolazione della parte aerea in internodi appiattiti chiamati cladodi, più comunemente "pale", verdi, rivestiti di cere e ricche di succo in grado di compiere la fotosintesi clorofilliana, dalle piccole foglie caduche, presenti sull'asse fiorale, sono effimere in quanto hanno una durata di 30 giorni, e da numerose spine molto piccole disposte intorno alle gemme. I fiori, di colore giallo, compaiono in primavera nelle zone con una temperatura mite, e in estate nelle zone più calde.
Le specie ancestrali, come abbiamo già detto, si sono originate nell'America tropicale e solo negli aridi altipiani messicani si è riscontrato il centro della maggiore diversità genetica dell'Opuntia, essa è presente in tutto il territorio americano, dal Canada meridionale alla Patagonia.
Grazie alla sua elevata adattabilità a condizioni ambientali differenti, si è anche diffusa in Sudafrica e in tutto il bacino del Mediterraneo, ed in particolar modo in Sicilia, dove è oggetto di coltura specializzata; la caratteristica comune delle aree di diffusione è comunque un grado più o meno accentuato di aridità.
Veniamo agli usi di tale piante, importantissimi ai fini strettamente economici, in quanto consente una molteplicità di utilizzazioni, con l'impiego di quasi tutte le parti della pianta, in diversi settori:
- Settore agroalimentare: con il consumo fresco del frutto che può essere "agostano" e "bastarduni" (racconterò dopo un aneddoto), la produzione di marmellate, sciroppi, canditi, bevande alcoliche e non, farine e olii estratti dai semi. Nelle zone di origine della pianta, e quindi limitatamente al Messico, il frutto viene servito anche leggermente grigliato e innaffiato di succo fresco di Cantalupe, mentre i giovani cladodi (le pale) vengono consumati come verdura.
- Settore zootecnico: la pianta, prevalentemente fresca, viene usata per l'alimentazione del bestiame.
- Settore industriale: le diverse parti della pianta vengono utilizzate per la produzione di coloranti, pectine, mucillagini, concimi organici e biogas.
- Settore farmaceutico: produzioni di medicinali per la cura del diabete, dell'obesità, delle affezioni infiammatori e per la produzione di prodotti per la cosmesi.
I frutti caratterizzati da una elevata variabilità nella forma, nella dimensione e nel colore, hanno caratteristiche qualitative diverse, diversità riscontrabili tra i due frutti prodotti nell'arco dell'anno solare, gli "agostani", così chiamati perchè nati dal primo fiore nel mese di agosto, e i "bastarduni", nati dal secondo fiore e portati a maturazione non prima della fine di settembre, grazie alle prime piogge di fine estate nelle produzioni non irrigue.
Veniamo ai nostri "bastarduni" e all'aneddoto che li vuole nati grazie alla furia vendicativa di un giovane, il quale pazzamente innamorato della figlia di un agricoltore del paese, si vedeva rifiutare la mano da parte dello stesso, in quanto il giovane era considerato un fannullone senza arte nè parte. Fu così che, dopo ripetute richieste da parte del giovane innamorato e continui rifiuti da parte del papà della giovane, decise di vendicarsi buttando giù, "scutulannu", tutti i frutti della piantagione di fichidindia dell'acerrimo e despote papà, con il solo scopo di causare un danno economico; ma il danno fu solo momentaneo, perchè subito dopo sui cladodi, le pale, fecero capolino altri fiori che dettero il frutto oggi chiamato "bastarduni" perchè nato fuori stagione grazie all'intervento dell'uomo. Il "bastarduni", a differenza del primo frutto, è più sodo e succulento, presenta meno semi, da 200 a oltre 400 per frutto nella prima produzione, e si conserva, se tenuto in un luogo fresco e ben areato, per molto tempo.
Fatta questa lunga ma dovuta premessa, con lo scopo di acquisire ulteriori notizie su di una pianta di nostra conoscenza, veniamo al rapporto che si è instaurato, nel corso dei secoli, tra questo dolce e succulento frutto e il nostro caro paese.
Credo che per avere una visione più chiara e globale di questo strano rapporto, sarebbe opportuno arrivare sino a piazza De Gasperi ed ammirare il paesaggio circostante: la Valle dei Mulini. Un unico colpo d'occhio, un tappeto verde steso su ambedue i lati della vallata, partendo dal boschetto di Sant'Angelo, dove fanno capolino le prime piante a limitare il bosco di pini e abeti sino ad arrivare alla Cunziria; qui la pianta, lasciata crescere in uno stato di totale abbandono, si è sbizzarrita sviluppandosi in volute e spirali, contribuendo così a dare un ulteriore tocco artistico-scenografico al già bello e suggestivo paesaggio del borgo.
Si continua a scendere sino ad arrivare alla Fontana della Masera, incastonata anch'essa da alberi di ficodindia sino ad arrivare "'a testa e l'acqua" e "'a utti ranni". Il paesaggio della vallata, in questo periodo dell'anno, è monocromo, un'unica distesa di verde, di un verde intenso dove i nostri fichidindia la fanno da padroni.
Capite adesso il perchè di questo rapporto tra Vizzini e il ficodindia, la pianta da secoli ha fatto da sfondo ad eventi della storia del nostro paese:
«Avete comandi da darmi, compare Alfio?» gli disse.
«Nessuna preghiera, compare Turiddu, era un pezzo che non vi vedevo, e voleva parlarvi di quella cosa che sapete voi».
Turiddu da prima gli aveva presentato il bicchiere, ma compare Alfio lo scansò colla mano. Allora Turiddu si alzò e gli disse: «Son qui, compare Alfio».
Il carrettiere gli buttò le braccia al collo.
«Se domattina volete venire nei fichidindia della Canziria potremo parlare di quell'affare, compare».
«Aspettatemi sullo stradone allo spuntar del sole, e ci andremo insieme».
Con queste parole si scambiarono il bacio della sfida. Turiddu strinse fra i denti l'orecchio del carrettiere, e così gli fece promessa solenne di non mancare.
Turiddu annaspò un pezzo di qua e di là fra i fichidindia e poi cadde come un sasso. Il sangue gli gorgogliava spumeggiando nella gola, e non potè profferire nemmeno: «Ah! Mamma mia!».
(«Cavalleria rusticana», ambientata dal Verga sullo sfondo dei fichidindia della "Cunziria".)
Intorno a questa pianta si è costruita nel tempo l'immagine del siciliano d.o.c. paragonandolo ad un ficodindia, dal carattere forte e spinoso, ma una volta sbucciato, dolce e succulento, un paragone che centra di sicuro l'obbiettivo.
Ma come ogni cosa di questo mondo terreno, nulla è per sempre, e con il passare del tempo anche quell'economia mossa dalla commercializzazione dei "bastarduni ri Vizzini" si fermò, erano gli anni in cui si emigrava, si cercava fortuna all'estero. Si abbandonavano le campagne, e quelli che restavano sognavano un futuro più gratificante, diventare qualcuno... «aviri u pusticieddu e no essiri u viddanu». Fu l'inizio di un lungo ed inesorabile declino per l'economia del nostro paese che si ridusse a poche migliaia di abitanti, le terre abbandonate, le botteghe degli artigiani chiuse. Il buio più totale.
Oggi l'Italia si colloca al secondo posto, dopo ovviamente il Messico, della produzione mondiale, grazie soprattutto alla produzione siciliana che sfiora il 90% di quella nazionale; dal 2003 si ha avuto il gratificante riconoscimento del «Ficodindia d.o.p. dell'Etna», in un'area produttiva che abbraccia i comuni pedemontani, un certificato d.o.p. concesso alle 3 varietà prodotte in Sicilia: la Gialla "Sulfarina", la Bianca "Muscaredda" e la Rossa "Sanguigna"; ma è a San Cono che vanno tutti i riconoscimenti del caso per avere il primato della produzione, pari al 50% di quello prodotto nell'intera isola, con oltre 1500 ettari di terreno adibito a coltura, seguita dal Comune di Militello in Val di Catania.
Bene, credo che a questo punto non sia difficile fare due conticini e capire che quello che da noi una volta cresceva, quasi in modo spontaneo, nei più svariati anfratti e scarpate dell'intero territorio circostante, oggi, grazie a metodologie di coltivazione progredite e all'avanguardia, dà tanto lavoro e arricchisce le economie di molti comuni siciliani. Vizzini è una grande macchina abbandonata, ma ancora funzionante, ha solo bisogno di una buona lubrificata e una giusta messa a punto, per poter ripartire alla grande come i vecchi tempi.
01/11/2006 | 6105 letture | 0 commenti
di La Civetta
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