Terza pagina
Il bel Vizzini
Nei ricordi dei più anziani, ancora in vita, Vizzini, la Città di
Vizzini, tra la fine dell'800 e gli inizi del '900, era il paese più grande,
importante ed invidiato del circondario.
L'economia era florida, la concia e l'ulteriore lavorazione del cuoio per produrre il vitello nero, una pelle conosciuta dai grandi pellettieri settentrionali dell'epoca per la sua morbidezza e resistenza agli agenti atmosferici, la rendeva una città nota anche al nord Italia.
Vizzini poteva vantare una delle prime reti idriche e fognaria del circondario, un'illuminazione a lampione che la rendevano magica; un Teatro Comunale ed un Mercato Coperto che non avevano nulla da invidiare, in piccolo, alla Scala e alla Galleria di Milano.
Vizzini, sembrava essere nata dalla mano di un artista, una persona colta, un amante delle Belle Arti, un ingegnere che sapeva il fatto suo; una persona che inconsapevolmente, a distanza di secoli, avrebbe ispirato l'immaginazione di un altro grande uomo, che ne avrebbe tratto spunto, dai suoi abitanti e concittadini, dalle sue vie, dai suoi cortili e dalle campagne circostanti, per scrivere le pagine più belle e irripetibili del verismo italiano.
Ma tutto ciò, come gran parte della nostra vita, non è eterno. La bellezza di Vizzini, le vie e le viuzze, le scale ed i cortili, tutto lo stile barocco-decadente del passato, quell'uso esagerato della pietra lavica mista alla bianca di Comiso, cominciò a stancare, e a chi credeva di avere il potere di poter cambiare a suo piacimento il suo, ma anche il nostro paese, venne una brillante idea: buttiamo giù tutto e ricostruiamo.
Venne distrutto così il Teatro Comunale per far posto al Gabinetto del Sindaco, alla Sala Consiliare e a qualche altro ufficio. Idea geniale, erano gli anni '60.
Venne buttato giù il Mercato "do Rusariu", per far posto ad un mini complesso che avrebbe dovuto ospitare una scuola materna, con annesso ufficio Vigili Urbani, trasferiti dal Palazzo Comunale e ritornatoci subito dopo. Brillante idea, ma erano gli anni '70.
Cos'era rimasto che poteva collegarci con un passato architettonico di cattivo gusto: i palazzi nobiliari, ma quelli erano in gran parte di proprietà dei privati, quindi intoccabili.
Ecco un'idea: la Salita Lucio Marineo, a "Scalazza" per intenderci. Togliamo quei gradini di basalto lavico, consunti dall'uso e diventati neri e lucidi come la pece, per far posto a qualcosa di nuovo; e qui debbo complimentarmi con l'architetto che l'ha ideata, credo che ne ha dovuto perdere di sonno per trovare l'idea giusta, singolare, oserei dire originale.
Qualcuno asserisce che l'idea sia nata dopo una gita fatta nella lontana Città di Caltagirone, credo comunque si tratti di dicerie, scaturite magari per una improbabile somiglianza fra le due scale che fanno bella vista nelle due città; a colpo d'occhio direi che la nostra a meno gradini, e a meno che non si faccia riferimento alla ceramica usata, introdotta come novità assoluta, allora...
Finita la ristrutturazione della "Scalazza" ed essendo in zona, perchè non rifare la piazza Umberto I? Ma si, d'altra parte quel bitume nero è monocromatico, opprimente ed inquinante, la calura estiva lo riporta ad uno stato colloso, che costringe gli abitanti della piazza, nelle ore più calde, ad adottare un'andatura da homo sapiens per evitare di rimanerci incollati.
Perchè non fare un salto nel passato ed riutilizzare dell'ottima pietra nera dell'Etna mista alla bianca di Comiso e magari ornare il centro della piazza con un bel rosone in pietra lavica ceramicata raffigurante la "Rosa dei Venti", a ricordo del nostro passato di Città Marinara?
Certo, se il vento di tramontana avesse soffiato un pò meno e fosse stato un pò più corto, sarebbe stato semplice scriverlo in corsivo, come tutti gli altri venti, ma opporsi alla natura... e quindi ci mettiamo sotto i piedi una bella lezione di ortografia.
Rimanendo in zona ci si accorge di una strana illuminazione, un melange di stili,
che nulla hanno a che vedere se utilizzati entrambi nello stesso ambiente. Tutta
la piazza è illuminata da una fredda e bianca luce irradiata da un marea
di palle, illuminazione che prosegue per tutta la via Lombardo fino ad arrivare
in piazza De Gasperi; poi imboccando la via S. Lucia fino ad arrivare al Largo
Matrice, si ritorna alla più consona calda luce gialla emanata dai vecchi
lampioni a ricordo dell'antica illuminazione cittadina.
Ritornando al punto di partenza, piazza Umberto I, ed imboccando la via Vittorio
Emanuele, dove già da questa estate, si può ammirare e contemplare
una pavimentazione in stile deco-bitume-retrò, materiale di gran lunga usato,
per la sua bellezza e l'irrisorio costo, per la pavimentazione di buona parte
delle vie cittadine, si arriva a piazza Marconi "o parcu a musica" e qui
debbo, nuovamente, complimentarmi con chi ha avuto l'idea di realizzare un monumento
in memoria del nostro caro estinto concittadino Giovanni Verga, questo riconoscimento
al grande scrittore mancava davvero. La dritta avuta per la scelta dell'artista
che avrebbe dovuto realizzare l'opera scultorea si è rivelata più
una storta, ma non tutte le ciambelle vengono col buco, e magari ci si ritrova
con un Verga che assume una postuma da E.T. che tenta la fuga dalla collera di
un concittadino che si è riconosciuto in uno dei suoi personaggi, traditi
dalla propria moglie.
A nessuno è però venuto in mente di ricostruire il palco, che ospitava,
per la festa religiosa di S. Giovanni, la Banda Musicale Comunale. Sarebbe stato
bello ridare a quella piazza qualcosa che qualcuno, irresponsabilmente, gli aveva
rubato. Ma forse sarebbe costato troppo ad un'amministrazione che già naviga
in brutte acque-economiche, e di acqua debbo dire che in paese ne abbonda, visto
l'invito pervenutoci a pagare più volte la stessa erogazione.
E per concludere questa nostra gita tra le bellezze vecchie e nuove del nostro amato paese, ci buttiamo giù per la ripida via Cappuccini, fermandoci sul palchetto naturale a ridosso il Largo Cappuccini, da dove si può ammirare l'ultima, ancora in costruzione e non ancora ben definita, opera di abbellimento urbano.
La prima cosa che colpisce e l'uso artistico-indiscriminato di bitume misto a cemento e pietra lavica; cosa sia o cosa rappresenti resta avvolto in un mistero; dalla nostra posizione di carpisce una forma stilizzata di croce e visto che la piazza è il punto finale dei cortei funebri, si potrebbe supporre che...
Aspetteremo con ansia la fine dei lavori e poi giudicheremo il risultato.
L'economia era florida, la concia e l'ulteriore lavorazione del cuoio per produrre il vitello nero, una pelle conosciuta dai grandi pellettieri settentrionali dell'epoca per la sua morbidezza e resistenza agli agenti atmosferici, la rendeva una città nota anche al nord Italia.
Vizzini poteva vantare una delle prime reti idriche e fognaria del circondario, un'illuminazione a lampione che la rendevano magica; un Teatro Comunale ed un Mercato Coperto che non avevano nulla da invidiare, in piccolo, alla Scala e alla Galleria di Milano.
Vizzini, sembrava essere nata dalla mano di un artista, una persona colta, un amante delle Belle Arti, un ingegnere che sapeva il fatto suo; una persona che inconsapevolmente, a distanza di secoli, avrebbe ispirato l'immaginazione di un altro grande uomo, che ne avrebbe tratto spunto, dai suoi abitanti e concittadini, dalle sue vie, dai suoi cortili e dalle campagne circostanti, per scrivere le pagine più belle e irripetibili del verismo italiano.
Ma tutto ciò, come gran parte della nostra vita, non è eterno. La bellezza di Vizzini, le vie e le viuzze, le scale ed i cortili, tutto lo stile barocco-decadente del passato, quell'uso esagerato della pietra lavica mista alla bianca di Comiso, cominciò a stancare, e a chi credeva di avere il potere di poter cambiare a suo piacimento il suo, ma anche il nostro paese, venne una brillante idea: buttiamo giù tutto e ricostruiamo.
Venne distrutto così il Teatro Comunale per far posto al Gabinetto del Sindaco, alla Sala Consiliare e a qualche altro ufficio. Idea geniale, erano gli anni '60.
Venne buttato giù il Mercato "do Rusariu", per far posto ad un mini complesso che avrebbe dovuto ospitare una scuola materna, con annesso ufficio Vigili Urbani, trasferiti dal Palazzo Comunale e ritornatoci subito dopo. Brillante idea, ma erano gli anni '70.
Cos'era rimasto che poteva collegarci con un passato architettonico di cattivo gusto: i palazzi nobiliari, ma quelli erano in gran parte di proprietà dei privati, quindi intoccabili.
Ecco un'idea: la Salita Lucio Marineo, a "Scalazza" per intenderci. Togliamo quei gradini di basalto lavico, consunti dall'uso e diventati neri e lucidi come la pece, per far posto a qualcosa di nuovo; e qui debbo complimentarmi con l'architetto che l'ha ideata, credo che ne ha dovuto perdere di sonno per trovare l'idea giusta, singolare, oserei dire originale.
Qualcuno asserisce che l'idea sia nata dopo una gita fatta nella lontana Città di Caltagirone, credo comunque si tratti di dicerie, scaturite magari per una improbabile somiglianza fra le due scale che fanno bella vista nelle due città; a colpo d'occhio direi che la nostra a meno gradini, e a meno che non si faccia riferimento alla ceramica usata, introdotta come novità assoluta, allora...
Finita la ristrutturazione della "Scalazza" ed essendo in zona, perchè non rifare la piazza Umberto I? Ma si, d'altra parte quel bitume nero è monocromatico, opprimente ed inquinante, la calura estiva lo riporta ad uno stato colloso, che costringe gli abitanti della piazza, nelle ore più calde, ad adottare un'andatura da homo sapiens per evitare di rimanerci incollati.
Perchè non fare un salto nel passato ed riutilizzare dell'ottima pietra nera dell'Etna mista alla bianca di Comiso e magari ornare il centro della piazza con un bel rosone in pietra lavica ceramicata raffigurante la "Rosa dei Venti", a ricordo del nostro passato di Città Marinara?
Certo, se il vento di tramontana avesse soffiato un pò meno e fosse stato un pò più corto, sarebbe stato semplice scriverlo in corsivo, come tutti gli altri venti, ma opporsi alla natura... e quindi ci mettiamo sotto i piedi una bella lezione di ortografia.
E per concludere questa nostra gita tra le bellezze vecchie e nuove del nostro amato paese, ci buttiamo giù per la ripida via Cappuccini, fermandoci sul palchetto naturale a ridosso il Largo Cappuccini, da dove si può ammirare l'ultima, ancora in costruzione e non ancora ben definita, opera di abbellimento urbano.
La prima cosa che colpisce e l'uso artistico-indiscriminato di bitume misto a cemento e pietra lavica; cosa sia o cosa rappresenti resta avvolto in un mistero; dalla nostra posizione di carpisce una forma stilizzata di croce e visto che la piazza è il punto finale dei cortei funebri, si potrebbe supporre che...
Aspetteremo con ansia la fine dei lavori e poi giudicheremo il risultato.
22/11/2005 | 5282 letture | 0 commenti
di La Civetta
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