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I racconti di Doctor
Affari di famiglia
Nella famiglia di mia madre il patriarca era il fratello maggiore di nonna: zio Cecchino.
Apparteneva al segno del leone, pertanto era incline a comandare e a coordinare alla grande, possedeva grande carisma, facilmente si faceva ammirare per le proprie capacità e per il modo di relazionarsi con gli altri.
Nella sua vita lavorativa era stato un grande, un antesignano industrialotto: oltre alla lavorazione del cuoiame badava personalmente alla commercializzazione della sua produzione. Era geniale e viaggiava - a quei tempi in treno - per l'Italia per concludere affari.
Di affari ne concluse parecchi, basta pensare che prima dell'ultima guerra possedeva in liquidi circa dieci milioni di lire; si può senz'altro dire che era un riccone. Non riuscì, tuttavia, ad investire adeguatamente quanto aveva guadagnato. Come unico investimento aveva comprato il peggiore appezzamento di terreno esistente nella contrada di Cassaneto: una immensa pietraia! Aveva anche comprato e ben sistemato la cappella funeraria nel cimitero di Vizzini.

Non aveva figli, ma nipoti in perenne adorazione e in permanente rispetto. L'adorazione, più o meno sincera dei nipoti, era sia per quanto era stato "grande" zio Cecchino, ma anche in ragione della eventuale, futura eredità. Il rispetto invece era vero e sentito in quanto zio Cecchino era il tipo che si faceva sul serio rispettare.

Per noi pronipoti, al Capodanno di ogni anno, c'era la strenna: un buono fruttifero postale di mille lire. La prima strenna, per regolamento non scritto ma consuetudinario, ci spettava prima ancora di nascere se le nostre mamme erano incinte alla data del primo Gennaio; l'ultima strenna coincideva con il compimento dei diciotto anni di età.
Da più grandicelli io e mio cugino, finite le vacanze estive, le vacanze di Natale e le vacanze di Pasqua, prima di rientrare in collegio, passavamo a salutarlo e regolarmente, in tale occasione, ci veniva dato un certo obolo per soddisfare eventuali, piccole, necessità.
Più volte zio Cecchino, specie nella vecchiaia, era stato male; ogni volta oltre a precipitarsi i medici a consulto - il dottore Ventura a suo tempo, il dottore Turturice successivamente, perfino il grande clinico prof. Condorelli una volta appositamente venuto da Catania - anche i notai - Passanisi prima ed altri poi - venivano convocati in tali occasioni per perfezionare gli atti testamentari.

Un giorno, io ero già studente universitario, una tumefazione comparve alla radice della coscia sinistra di zio Cecchino. Fu consultato il dottore Garofalo che aveva maggiore dimestichezza con la chirurgia ed il verdetto fu: bisogna incidere ed eventualmente eseguire un prelievo bioptico da fare esaminare istologicamente a Catania.
Alla notizia che zio Cecchino stava male successe il finimondo: tutti i nipoti e pronipoti residenti in Sicilia ci precipitammo a Vizzini, mancava solo uno dei nipoti che già era in cattivi rapporti con gran parte della parentela. Zio Piccio, che in quel periodo villeggiava con la famiglia in campagna, vista la gravità della situazione, "fece una macchina", andò a recuperare moglie, cognata e masserizie, concluse la villeggiatura e ritornò in paese per stare più vicino all'epicentro.
A quel tempo scarseggiavano i telefoni in campagna e non esistevano ancora i telefonini. Il nipote maggiore venne da Catania e si installò, per ogni evenienza, stabilmente in casa di zio Cecchino.
Il movente di tale agitazione: senz'altro lo stato di salute di zio Cecchino per cui, in caso di necessità, tutti quanti avremmo potuto dare una mano, ma è anche da tenere presente che nel caso di un eventuale nuovo testamento era meglio essere presenti in loco e mostrarsi affezionati.
Si prevedevano comunque grandi litigi; intanto, per assaggio, due delle nipoti femmine avevano litigato fra loro per contendersi il privilegio di preparare il brodo di pollo per l'inappetente zio Cecchino - "zu Cicchinu tu spinnu iu u pollu che me manu, pinnuzza pi pinnuzza" -.

Noi arrivammo a Vizzini il pomeriggio dell'intervento. La casa di zio Cecchino era piena di parenti, amici, vicini di casa - a quel tempo la solidarietà era grande - tutti seduti in circolo a vantare le doti e le virtù del - secondo loro - moribondo zio Cecchino.
Si aspettava il dottore Garofalo che doveva praticare l'incisione e la eventuale biopsia. Erano state preparate garze, pezze laparotomiche, bende, biancheria varia, alcol, tintura di iodio, bacinelle in quantità tale come se si dovesse affrontare chi sa quale emergenza chirurgica.
Zia Mariò, la moglie, era tutta indaffarata e girava per la casa come una fantasima "incarrandosi" tutto ciò che incontrava sul percorso. Tutto ad un tratto zio Piccio, che era stato messo di vedetta, annunciava gridando come un ossesso per farsi sentire, che stava arrivando il dottore Garofalo. L'atmosfera per un attimo si gelava ,ma subito dopo e più forte di prima riprendeva l'animazione.
Allorchè giunse il momento di procedere all'intervento zio Cecchino ordinava che le donne,i più giovani ed i più emotivi, quindi i meno temprati, venissero allontanati dalla sua stanza; che venisse preparato un buon bicchiere di cognac in caso di un eventuale mancamento.
Rimanemmo quindi in pochi nella stanza: il dottore Garofalo che doveva eseguire l'intervento, io che avendo una modesta esperienza di sala operatoria dovevo "aiutare", un altro pronipote che da studente in medicina assisteva per la prima volta ad un atto chirurgico, il padre che doveva controllarne la reazione alla vista del sangue, zio Piccio che, oltre a tenere a portata di mano il bicchiere di cognac, doveva fare coraggio a zio Cecchino e farsi stringere le mani in caso sentisse dolore.
Finito l'intervento il dottore Garofalo andava a lavarsi le mani ed allora tutti si spostarono appresso a lui per avere notizie in anteprima. Alla risposta che sarebbe stato necessario eseguire un esame istologico per escludere con certezza un tumore maligno, zia Mariò cominciava a piangere guaiendo come un cagnolino, una nipote - la prediletta - come una forsennata si dava pugni in testa in preda a crisi isterica. Si piombava, indi, nel silenzio più assoluto in preda alla meditazione, unica nota stonata: zio Piccio, che era stato in grande tensione, veniva verso di noi dalla stanza "operatoria" con in mano il bicchiere di cognac che doveva servire eventualmente per zio Cecchino, e dopo aver gridato: "cin, cin a saluti do ziu Cecchinu", se lo bevevo tutto d'un fiato. Cose da pazzi!

Successivamente l'esame istologico escluse qualsiasi grave patologia. Le condizioni di zio Cecchino migliorarono notevolmente tanto che mentre prima non aveva appetito, non si poteva muovere dal letto, non si reggeva in piedi ed era quasi rassegnato alla malasorte, tanto che si era confessato e comunicato, successivamente tornò l'appetito, ricominciò a mangiare, si alzò dal letto, camminò, cominciò a distribuire ordini a destra e a manca, ricominciò saltuariamente a bestemmiare di gusto.
Zio Piccio se ne tornò in campagna a riprendere la villeggiatura sospesa - dovevano ancora essiccare i fichi al sole per farne passuluna e completare la esecuzione dell'estratto di pomodoro in quantità quasi industriale -. Il nipote grande "tolse le tende" da Vizzini e se ne tornò a Catania.

Zio Cecchino vendette successivamente anche l'appezzamento di terreno di Cassaneto; morì di vecchiaia dopo alcuni anni. La moglie, zia Mariò, concluse la sua esistenza, in una dignitosa casa di riposo dopo diversi anni.
Della favolosa eredità, causa sempre di attenzione e di tensione, rimase ai superstiti nipoti solo la casa avita con parte del residuo arredamento e la tomba di famiglia. Alla vendita della casa badò mio cugino, l'unico parente rimasto a Vizzini.
Dal sorteggio dell'arredamento che era stato destinato alle nipoti femmine, a me, figlio di nipote femmina, peraltro già deceduta, toccarono due poltrone liberty, che opportunamente ritappezzate, troneggiano con grande dignità nel mio studio a perenne memoria di zio Cecchino.

La tomba di famiglia rappresenta il punto di incontro di gran parte dei parenti per la festa della commemorazione dei defunti ed in tale occasione c'è sempre qualcuno di noi che rivolge un pensiero di ringraziamento a zio Cecchino per aver consentito di riunirci nello stesso luogo a ricordare i nostri cari e a pregare per loro.
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11/04/2005 | 3809 letture | 0 commenti
di doctor
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