I racconti di Doctor
Il trionfo della deboscia
Il casino ufficiale, la casa di piacere o, con linguaggio più ipocrita, la casa
di tolleranza, era situata all'ingresso del paese, lungo lo stradale che conduce
da Vizzini Scalo a Vizzini, naturalmente non avevamo ancora l'età nè l'interesse
a frequentarlo.
Si favoleggiava su questo ritrovo! Con l'introduzione della legge Merlin furono tristemente chiuse in tutta Italia tutte le case di piacere ufficiali, lasciando nello sconforto la gran parte dei giovanotti. Le signorine allegre lavoratrici si trovarono improvvisamente in mezzo ad una strada senza lavoro. Alcune rimasero nel ramo e si organizzarono in proprio ricevendo la propria affezionata clientela «a parte di casa». Altre avviarono una attività commerciale alternativa.
Tra le prime a ricevere a parte di casa si annovera la mitica Pitrina, che riceveva in una casetta posta sotto la zona del Palco della musica, la si raggiungeva tramite una scalinata che aveva inizio sotto il negozio di tessuti e di abbigliamento di don Turiddu Interlandi. Lavorò in proprio per diversi anni ed aveva la sua numerosa clientela, anche perchè i prezzi erano modici, particolare non indifferente per quella modesta clientela.
Altre ancora erano piedi piedi: Luana dai capelli di un biondo accecante riceveva presso l'albergo Roma, sito in piazza Umberto. Quando si affacciava al balcone, giusto per stimolare l'eventuale clientela, potevi osservare una intera piazza di gente che volgeva lo sguardo assassino verso di lei e qualcuno più assatanato degli altri sussurava tra gli amici con voce bassa e sensuale «ci 'a facissi nesciri di l'occhi». Il tenutario dell'albergo Roma era detto Nanni d'albergu, il quale in epoca più moderna, suscitando in mè grande sorpresa, fu ribattezzato dalla maniata di cornutazzi locali in Johnny Hotel.
Tra le altre donnine accoglienti c'era anche la signora Maria, che riceveva dapprima in una traversina vicino casa mia e successivamente in un basso di palazzo Ventimiglia. Era stata portata a Vizzini da Mariuzzu Pumiddu (nome di fantasia), che conviveva con lei e regolarmente la sfruttava. Mariuzzu, personaggio dalle mille pensate, successivamente decise di fare il salto di qualità ed aprirsi a Catania nel centrale viale Libertà una macelleria di carne equina. Nonostante amici autorevoli, anche poliziotti, lo avessero ripetutamente sconsigliato di impelagarsi in questa rischiosa attività, Mariuzzu, da testardo come solo i montanari riescono ad esserlo, si incaponì ed aprì la sua macelleria equina. Risultato: dopo qualche giorno di notte saltò ingloriosamente in aria tutto il negozio e per poco non saltò in aria pure Mariuzzu.
Altra donnina, ma attempata, che riceveva dalle parti del mercato era una signora che per assonanza chiameremo Dolcezza. Nello stesso palazzo aveva ricevuto prima una clientela economicamente più selezionata una signora portata da un solerte compagno di Francofonte di nome Giano, nome di fantasia, il quale possedeva anche una spider di colore verde con la quale aveva portato in giro per le strade principali del paese Matteo Agosta in trionfo vincitore delle elezioni a deputato al parlamento della Repubblica.
Del secondo gruppo faceva parte la signora Giovanna, che assieme a un'amica che proveniva dallo stesso ramo avevano aperto una linda latteria posta all'inizio di via Giovanni Verga. Avevano la loro spettabile clientela e tra i clienti della latteria c'erano anche alcuni che si ricordavano con terribile nostalgia di aver vissuto assieme a una di loro momenti felici. Non ne facevano alcun cenno anche per non ammettere l'implacabilità del trascorrere del tempo.
Noi giovanotti, raggiunta l'età del richiamo sessuale, sia per riservatezza sia perchè le donnine di Vizzini non ci ispiravano assolutamente andavamo fuori paese a Comiso o a Ragusa. Le ragazze cambiavano ogni quindici giorni, e ogni volta promettavamo a noi stessi: «andiamo a vedere: se le ragazze sono di nostro gradimento restiamo, se no ce ne torniamo a casa senza porre tempo in mezzo». Oddio ci fosse stata una sola volta in cui le ragazze non fossero state di nostro gradimento!
A Comiso frequentavamo l'albergo Ariston. Restavamo in una ampio salone a fingere di vederci con grande attenzione i programmi televisivi, in realtà attendavamo con morbosa curiosità che potessimo vedere le donnine presenti per quella quindicina di giorni. Talora incontravamo nel salone di attesa qualche altro vizzinese, la qualcosa ci procurava una botta di veleno e dopo aver esclamato tra noi «che bel pezzo di porco c'è là», arrivato il nostro turno a uno a uno ce ne salivamo in camera a consumere.
A Ragusa frequentavamo un albergo che era proprio dietro la Questura, si saliva una ripida e stretta scaletta, in cima ci accoglieva in distinto signore, ben pettinato e con impeccabili baffi che si faceva chiamare principe. In realtà regolava il traffico dei clienti in arrivo ed in partenza e noi ripagavamo alla fine con una miserabile mancia il servizio prestato. Allorchè era possibile accomodarsi ci chiamava con un «si accomodi cavaliere», non certo per onorificenza ricevuta al merito della Repubblica, quanto per l'attività che ci accingevamo a compiere. La stanza era piccola, dignitosamente arredata con una gradevole vista da una piccola finestra sui tetti di Ragusa, pulita, ti colpiva l'odore di un deodorante-disinfettante sempre uguale sia a Ragusa come a Comiso.
Una delle prime domande che rivolgevamo alle ragazze, giusto per rompere il ghiaccio, era «di dove sei, come ti chiami?». La risposta era sempre una bugia: provenivano da luoghi turistici famosi, chi da Rimini, chi da Viareggio etc., il nome era sempre di fantasia e tutte avevano un nome di fantasia, come le suore, non garbato paragone, ma in fondo anche loro facevano quell'antico mestiere per una sorta di vocazione!
Il ritorno in paese era un vero sollazzo in piena deboscia raccontavamo le nostre mirabilie, c'era chi stanco morto si abbiava a dormire, chi tenendola tra due dita portava in bocca una enorme sigaretta, l'aspirava profondamente con estrema lentezza, con fare estremamente spocchioso e teatrale eliminava il fumo anche dalle narici, mentre con il dito mignolo della mano controlaterale titillava il meato dell'orecchio, chi guardava con odio il godereccio che raccontava come in una favola la sua mitica, mirabolante recente esperienza.
Da più grandi le nostre basi di operazioni si spostarono a Catania: in piazza Università, sopra un piccolo bar, esisteva una pensioncina, ospitava donnine allegre che davano allegria anche a noi. In caso di sovraffollamento c'era di fronte un altro appartamento che ospitava altre simpatiche ragazze altrettanto allegre; regolava il traffico uno ietta acqua, che se ci aveva in simpatia consigliava anche con chi appartarsi e quali erano le specialità in cui erano abili le singole donnine. Se la memoria non mi inganna, e difficilmente mi inganna in questi casi, uno di questi ietta acqua, sfacciato omosessuale, dopo svariati anni fu ricoverato presso il mio ospedale in preda all'Aids, lo accompagnai fino alla morte con assoluta dedizione. Nessun accenno al passato nè da parte sua nè tantomeno da parte mia.
Se non c'era posto o comunque c'era confusione, prevedendo una rapida e fugace attenzione da parte delle ragazze, scendevamo le scale e ce ne andavamo ovviamente insoddisfatti. Ma bastava girare l'angolo di piazza Università, imboccare via Raddusa e sopra la rivendita di un fioraio si trovava un appartamento che ospitava belle signorine. Altri amici preferivano risalire via Etnea e di fronte la villa Bellini si trovava una bella pensione dal fantasioso nome stanze etnee che ospitava donnine di facili costumi.
Caramente,
vostro doctor.
Si favoleggiava su questo ritrovo! Con l'introduzione della legge Merlin furono tristemente chiuse in tutta Italia tutte le case di piacere ufficiali, lasciando nello sconforto la gran parte dei giovanotti. Le signorine allegre lavoratrici si trovarono improvvisamente in mezzo ad una strada senza lavoro. Alcune rimasero nel ramo e si organizzarono in proprio ricevendo la propria affezionata clientela «a parte di casa». Altre avviarono una attività commerciale alternativa.
Tra le prime a ricevere a parte di casa si annovera la mitica Pitrina, che riceveva in una casetta posta sotto la zona del Palco della musica, la si raggiungeva tramite una scalinata che aveva inizio sotto il negozio di tessuti e di abbigliamento di don Turiddu Interlandi. Lavorò in proprio per diversi anni ed aveva la sua numerosa clientela, anche perchè i prezzi erano modici, particolare non indifferente per quella modesta clientela.
Altre ancora erano piedi piedi: Luana dai capelli di un biondo accecante riceveva presso l'albergo Roma, sito in piazza Umberto. Quando si affacciava al balcone, giusto per stimolare l'eventuale clientela, potevi osservare una intera piazza di gente che volgeva lo sguardo assassino verso di lei e qualcuno più assatanato degli altri sussurava tra gli amici con voce bassa e sensuale «ci 'a facissi nesciri di l'occhi». Il tenutario dell'albergo Roma era detto Nanni d'albergu, il quale in epoca più moderna, suscitando in mè grande sorpresa, fu ribattezzato dalla maniata di cornutazzi locali in Johnny Hotel.
Tra le altre donnine accoglienti c'era anche la signora Maria, che riceveva dapprima in una traversina vicino casa mia e successivamente in un basso di palazzo Ventimiglia. Era stata portata a Vizzini da Mariuzzu Pumiddu (nome di fantasia), che conviveva con lei e regolarmente la sfruttava. Mariuzzu, personaggio dalle mille pensate, successivamente decise di fare il salto di qualità ed aprirsi a Catania nel centrale viale Libertà una macelleria di carne equina. Nonostante amici autorevoli, anche poliziotti, lo avessero ripetutamente sconsigliato di impelagarsi in questa rischiosa attività, Mariuzzu, da testardo come solo i montanari riescono ad esserlo, si incaponì ed aprì la sua macelleria equina. Risultato: dopo qualche giorno di notte saltò ingloriosamente in aria tutto il negozio e per poco non saltò in aria pure Mariuzzu.
Altra donnina, ma attempata, che riceveva dalle parti del mercato era una signora che per assonanza chiameremo Dolcezza. Nello stesso palazzo aveva ricevuto prima una clientela economicamente più selezionata una signora portata da un solerte compagno di Francofonte di nome Giano, nome di fantasia, il quale possedeva anche una spider di colore verde con la quale aveva portato in giro per le strade principali del paese Matteo Agosta in trionfo vincitore delle elezioni a deputato al parlamento della Repubblica.
Del secondo gruppo faceva parte la signora Giovanna, che assieme a un'amica che proveniva dallo stesso ramo avevano aperto una linda latteria posta all'inizio di via Giovanni Verga. Avevano la loro spettabile clientela e tra i clienti della latteria c'erano anche alcuni che si ricordavano con terribile nostalgia di aver vissuto assieme a una di loro momenti felici. Non ne facevano alcun cenno anche per non ammettere l'implacabilità del trascorrere del tempo.
Noi giovanotti, raggiunta l'età del richiamo sessuale, sia per riservatezza sia perchè le donnine di Vizzini non ci ispiravano assolutamente andavamo fuori paese a Comiso o a Ragusa. Le ragazze cambiavano ogni quindici giorni, e ogni volta promettavamo a noi stessi: «andiamo a vedere: se le ragazze sono di nostro gradimento restiamo, se no ce ne torniamo a casa senza porre tempo in mezzo». Oddio ci fosse stata una sola volta in cui le ragazze non fossero state di nostro gradimento!
A Comiso frequentavamo l'albergo Ariston. Restavamo in una ampio salone a fingere di vederci con grande attenzione i programmi televisivi, in realtà attendavamo con morbosa curiosità che potessimo vedere le donnine presenti per quella quindicina di giorni. Talora incontravamo nel salone di attesa qualche altro vizzinese, la qualcosa ci procurava una botta di veleno e dopo aver esclamato tra noi «che bel pezzo di porco c'è là», arrivato il nostro turno a uno a uno ce ne salivamo in camera a consumere.
A Ragusa frequentavamo un albergo che era proprio dietro la Questura, si saliva una ripida e stretta scaletta, in cima ci accoglieva in distinto signore, ben pettinato e con impeccabili baffi che si faceva chiamare principe. In realtà regolava il traffico dei clienti in arrivo ed in partenza e noi ripagavamo alla fine con una miserabile mancia il servizio prestato. Allorchè era possibile accomodarsi ci chiamava con un «si accomodi cavaliere», non certo per onorificenza ricevuta al merito della Repubblica, quanto per l'attività che ci accingevamo a compiere. La stanza era piccola, dignitosamente arredata con una gradevole vista da una piccola finestra sui tetti di Ragusa, pulita, ti colpiva l'odore di un deodorante-disinfettante sempre uguale sia a Ragusa come a Comiso.
Una delle prime domande che rivolgevamo alle ragazze, giusto per rompere il ghiaccio, era «di dove sei, come ti chiami?». La risposta era sempre una bugia: provenivano da luoghi turistici famosi, chi da Rimini, chi da Viareggio etc., il nome era sempre di fantasia e tutte avevano un nome di fantasia, come le suore, non garbato paragone, ma in fondo anche loro facevano quell'antico mestiere per una sorta di vocazione!
Il ritorno in paese era un vero sollazzo in piena deboscia raccontavamo le nostre mirabilie, c'era chi stanco morto si abbiava a dormire, chi tenendola tra due dita portava in bocca una enorme sigaretta, l'aspirava profondamente con estrema lentezza, con fare estremamente spocchioso e teatrale eliminava il fumo anche dalle narici, mentre con il dito mignolo della mano controlaterale titillava il meato dell'orecchio, chi guardava con odio il godereccio che raccontava come in una favola la sua mitica, mirabolante recente esperienza.
Da più grandi le nostre basi di operazioni si spostarono a Catania: in piazza Università, sopra un piccolo bar, esisteva una pensioncina, ospitava donnine allegre che davano allegria anche a noi. In caso di sovraffollamento c'era di fronte un altro appartamento che ospitava altre simpatiche ragazze altrettanto allegre; regolava il traffico uno ietta acqua, che se ci aveva in simpatia consigliava anche con chi appartarsi e quali erano le specialità in cui erano abili le singole donnine. Se la memoria non mi inganna, e difficilmente mi inganna in questi casi, uno di questi ietta acqua, sfacciato omosessuale, dopo svariati anni fu ricoverato presso il mio ospedale in preda all'Aids, lo accompagnai fino alla morte con assoluta dedizione. Nessun accenno al passato nè da parte sua nè tantomeno da parte mia.
Se non c'era posto o comunque c'era confusione, prevedendo una rapida e fugace attenzione da parte delle ragazze, scendevamo le scale e ce ne andavamo ovviamente insoddisfatti. Ma bastava girare l'angolo di piazza Università, imboccare via Raddusa e sopra la rivendita di un fioraio si trovava un appartamento che ospitava belle signorine. Altri amici preferivano risalire via Etnea e di fronte la villa Bellini si trovava una bella pensione dal fantasioso nome stanze etnee che ospitava donnine di facili costumi.
Caramente,
vostro doctor.
24/05/2010 | 5627 letture | 0 commenti
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