I racconti di Doctor
Mamma li turchi
Vivevano in paese una sorella di nome Pippina e un fratello di nome Vito, ambedue
dal carattere strambo, abitavano in via Ariosto, erano soprannominati i turchi:
il fratello Vito «u turcu», la sorella Pippina «a turca».
Il soprannome lo avevano ereditato dal padre, il quale in occasione di non so quale
guerra ottomana aveva parteggiato per i turchi. Aveva una botteguccia in via Roma,
nella zona dove attualmente c'è il pescivendolo, in questa botteguccia il turco
padre vendeva roba di cartoleria. I figli erano di colorito scuretto e Pippina
consumava cipria in quantità industriale nell'inutile tentativo di schiarirsi il
viso. Era bassina di statura, portava capelli a caschetto, curiosa da morire
trascorreva gran parte della giornata, se il clima lo consentiva, affacciata a
uno dei balconi di casa esposti in maniera diametralmente opposta, uno a oriente
e l'altro a occidente. La spiegazione ufficiale del perché stava affacciata era
che così prendeva un poco di aria, la realtà era che così non si lasciava sfuggire
nulla su quanto accadeva intorno. Controllava inoltre gli odiati monelli che facevano
scherzi, esilaranti per tutti, ma sgradevoli per lei e fonte di ira. Per cui urlava
come una ossessa e li insultava a sangue affinché desistessero e tornassero invece
dalle loro madri che sicuramente li stavano cercando: uno degli scherzi che
frequentemente le facevano era quello di lanciare un rotondo sassolino sul tetto,
che per il principio del piano inclinato rotolava pian pianino senza creare danno
sulle tegole, ma creando un sinistro rumore metteva in allarme la turca sempre
pronta a rimproverare chiunque fosse a tiro.
Lo scherzo più atroce che potevano farle era quello che di sera, complice il buio, legavano al battente della porta principale di casa un filo trasparente e da lontano, ben nascosti, lo azionavano in modo da attivare il battente e bussare. «Cu è?» era la domanda d'obbligo della turca all'ignoto viandante, ma non appena la buona donna si rendeva conto dello scherzo in atto, cominciava a insultare gli autori anonimi dello scherzo fino alla settima generazione, così creando ilarità in tutti i passanti che casualmente si fermavano incuriositi per quanto accadeva. I ragazzini autori dello scherzo continuavano implacabilmente a fingere di bussare alla porta e la turca a imprecare contro di loro.
Abitualmente in occasione di festività c'era sempre qualche operaio che sapendo con chi aveva a che fare, chiedeva educatamente se poteva far scorrere il filo dell'arco di luminaria lungo il suo muro fissandolo con dei chiodini. La risposta, sempre in tono sgarbato, era implacabilmente negativa, anzi se avessero danneggiato la parete si sarebbe rivolta ai carrabbinieri, l'invito dell'operaio era a cercare di calmarsi, «signora», e non fare così, la puntualizzazione immancabile della turca era: «prego signorina e non sono arrabbiata per niente».
ll fratello Vito, u turcu, era alto, con piedi enormi, lo chiamavano e gradiva farsi chiamare avvocato Gigi Castiglione, l'appellativo gli piaceva perché era musicale da sentire e perché lo elevava come grado sociale, ma non era avvocato e non si chiamava né Gigi né Castiglione. Passeggiava per le vie più frequentate del paese almeno due volte al giorno ufficialmente anche lui allo scopo di prendere un poco d'aria, ma in realtà allo scopo di osservare e sentire quanto avveniva intorno.
In definitiva fratello u turco e sorella a turca costituivano una sorta di servizio segreto paesano ricco di ogni notizia, chi voleva notizie passate, presenti e future probabili non aveva che da chiedere a loro.
Caramente,
vostro doctor
P.s.: buone feste a tutti voi.
Lo scherzo più atroce che potevano farle era quello che di sera, complice il buio, legavano al battente della porta principale di casa un filo trasparente e da lontano, ben nascosti, lo azionavano in modo da attivare il battente e bussare. «Cu è?» era la domanda d'obbligo della turca all'ignoto viandante, ma non appena la buona donna si rendeva conto dello scherzo in atto, cominciava a insultare gli autori anonimi dello scherzo fino alla settima generazione, così creando ilarità in tutti i passanti che casualmente si fermavano incuriositi per quanto accadeva. I ragazzini autori dello scherzo continuavano implacabilmente a fingere di bussare alla porta e la turca a imprecare contro di loro.
Abitualmente in occasione di festività c'era sempre qualche operaio che sapendo con chi aveva a che fare, chiedeva educatamente se poteva far scorrere il filo dell'arco di luminaria lungo il suo muro fissandolo con dei chiodini. La risposta, sempre in tono sgarbato, era implacabilmente negativa, anzi se avessero danneggiato la parete si sarebbe rivolta ai carrabbinieri, l'invito dell'operaio era a cercare di calmarsi, «signora», e non fare così, la puntualizzazione immancabile della turca era: «prego signorina e non sono arrabbiata per niente».
ll fratello Vito, u turcu, era alto, con piedi enormi, lo chiamavano e gradiva farsi chiamare avvocato Gigi Castiglione, l'appellativo gli piaceva perché era musicale da sentire e perché lo elevava come grado sociale, ma non era avvocato e non si chiamava né Gigi né Castiglione. Passeggiava per le vie più frequentate del paese almeno due volte al giorno ufficialmente anche lui allo scopo di prendere un poco d'aria, ma in realtà allo scopo di osservare e sentire quanto avveniva intorno.
In definitiva fratello u turco e sorella a turca costituivano una sorta di servizio segreto paesano ricco di ogni notizia, chi voleva notizie passate, presenti e future probabili non aveva che da chiedere a loro.
Caramente,
vostro doctor
P.s.: buone feste a tutti voi.
28/12/2012 | 21034 letture | 0 commenti
di doctor
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